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Articoli Comportamento

 

IL DISTURBO COMPETITIVO DELLA RELAZIONE

pubblicata da S.I.S.C.A. il giorno lunedì 26 marzo 2012 alle ore 16.47 ·
IL SEGUENTE ARTICOLO RELATIVO AL SEMINARIO E ALL'INCONTRO ORGANIZZATI  DALLA S.I.S.C.A. A MARZO, A FIRMA DELLA COLLEGA V. D'ANGELO, è STATO PUBBLICATO SU PROFESSIONE VETERINARIA (11/2012)
 
Il Disturbo Competitivo di Relazione 

La medicina comportamentale è una scienza in evoluzione: la collaborazione tra figure professionali diverse – veterinari comportamentalisti, istruttori cinofili, psicologi – favorisce la possibilità di guardare con “nuovi occhi” ai vecchi problemi, aprendo a nuove opportunità nella terapia.
La SISCA ha organizzato una tre giorni sul Disturbo Competitivo di Relazione (ex sociopatia cane-uomo) e sulla gestione della relazione e delle conflittualità.
Il Dott. Fassola ha aperto i lavori ripercorrendo la storia del concetto di gerarchia, da quella basata sulla “dominazione”, ossia in sostanza sulla legge del più forte, a quella di “leadership” in cui un capo carismatico, adulto ed esperto, risolve i problemi pratici del gruppo, fino al più moderno concetto di “gerarchia di autorità”, dove l’anziano trasmette le conoscenze all’interno del gruppo e ha il ruolo di pacificatore. È stato molto interessante notare come questa evoluzione sia fortemente intrecciata con la storia culturale e politica dell’essere umano e come sia influenzata dal genere, maschile o femminile, dell’osservatore.
La Dott.ssa Possenti ha poi fatto un’analisi del gruppo sociale, riferendosi in particolare ai branchi di cani liberi e ai ruoli osservati al loro interno: leader, sentinelle, esecutori, cacciatori, cani che allentano le tensioni, balie. Tali osservazioni possono rappresentare una iniziale chiave di interpretazione per il branco misto composto da umani e cani, che logicamente presenta delle differenze di organizzazione, ma sul quale mancano fino ad ora studi scientifici.
Il dott. Colangeli riprende in mano la nosografia e la terapia farmacologica, rinnovate rispetto al passato: il fulcro è la competizione per le risorse, che si può instaurare tra cani o tra umani e cane.
Ma come intervenire nella vita di ogni giorno della famiglia mista? La Dott.ssa Giussani e Attilio Miconi, Istruttore cinofilo, hanno illustrato i principi della terapia cognitivo-relazionale che si basano sulla contrapposizione della collaborazione e della cooperazione alla competizione, sull’improntare la relazione sulla fiducia tra tutti gli elementi del sistema quindi non solo il cane e la sua famiglia, ma anche il veterinario comportamentalista e l’istruttore, ognuno con il suo specifico ruolo. Non ci sono più regole imposte dall’alto dal “padrone”, ma regole condivise e rispetto reciproco.
La terza giornata è stata caratterizzata dal ritorno a grande richiesta dello psicologo Maurizio Martucci, che ha continuato il discorso sulla relazione dal punto di vista dell’analisi transazionale  iniziato lo scorso anno. Nel pomeriggio la divisione in gruppi di lavoro per l’esercitazione sui casi clinici ha dimostrato come questi momenti interattivi si rivelino molto utili per l’applicazione della teoria alla pratica quotidiana. La relazione è un argomento delicato e appassionante, e la discussione che è scaturita a partire dal lavoro dei relatori ha coinvolto tutti in maniera costruttiva.


L’arrivo di un cucciolo

Un cane non si regala. Questo è il concetto chiave su cui si basa la giusta scelta di accoglierlo in casa. Un cucciolo è stupendo, divertente, affettuoso, unico, ma non resta sempre così, cresce anche lui e una volta grande il suo posto deve continuare a essere accanto a chi lo ha scelto.
Quindi, se il desiderio di condividere un’esistenza con un amico a quattro zampe è forte e concreto, il primo passo da fare è quello di parlarne con un esperto del settore.
‘Fare una visita pre-adozione da un veterinario vuol dire resposabilizzare il futuro proprietario’ afferma Raimondo Colangeli, veterinario, comportamentalista e presidente della Sisca, Società Italiana Scienze Comportamentali Applicate.
Se, dopo aver avuto un quadro della situazione futura, dell’impegno, delle spese, della gioia che l’arrivo di un cane può portare, si decide di andare avanti, o se il Natale ha portato, sotto l’albero, un cucciolo di cane, ecco alcuni consigli.
‘Rispetto all’acquisto dei cani nei negozi, è meglio rivolgersi ad un allevamento (se possibile amatoriale) o, se ben organizzato, ad un canile, sempre seguendo i consigli dell’operatore’ prosegue il dottor Colangeli. ‘Un cucciolo il più delle volte viene preso e portato via da una situazione per lui perfetta, quella con la madre e i fratellini, e questo per lui è un grande trauma.
I proprietari devono tenerlo vicino, preferibilmente in braccio, anche nel viaggio in macchina. Una volta arrivati a casa, il cagnolino deve poter girare liberamente per le stanze e interagire subito con gli altri animali, se ce ne sono’.
Un cucciolo può risentire molto del distacco avvenuto e, nelle successive 24 - 36 ore, arriva anche a cadere in depressione. Contrariamente a quelli che erano i dettami della vecchia scuola di educazione, secondo la quale il nuovo arrivato doveva essere sistemato in una cuccia e lasciato solo per la notte, con la convinzione che si dovesse abituare, oggi si è giunti alla conclusione che il cane va tenuto con sé, soprattutto il primo periodo, per creare il giusto attaccamento.
‘Per quel che riguarda l’educazione – aggiunge il dottor Colangeli – non devono esistere più i concetti di dominanza e sottomissione, ma quelli di collaborazione e gioco. Il cane va premiato quando fa bene, un esempio per tutti: non si sgrida il piccolo se sporca dentro casa, lo si deve interrompere e, ogni volta che fa fuori i suoi bisogni, si deve premiare con un bocconcino appetitoso’.
Un cucciolo, per essere tolto dalla madre e dato in adozione, deve aver compiuto almeno 60 giorni. ‘Eseguite le prime vaccinazioni, Fido non deve essere relegato in appartamento, non bisogna cioè aspettare tutti i richiami, ma è importante portarlo subito fuori. E’ necessario che socializzi con gli altri cani e con le persone, uomini, donne e bambini. Il cane – continua il comportamentalista – deve stare al parco almeno un’ora al giorno perché così aumenta la sua capacità cognitiva, regolarizza le sue emozioni e partecipa alla vita sociale’.
Fonte : La Repubblica, maggio 2009 

 
COLANGELI: «GLI ANIMALI NON SONO GELOSI, HANNO SOLO COMPORTAMENTI EMOZIONALI»
 
 Gli animali non sono gelosi. O meglio hanno dei comportamenti che possono richiamare quest'emozione, ma usare la parola gelosia, è eccessivo. «Se è un sentimento, ha bisogno di coscienza di sè e i cani non è dimostrato che l'abbiano», spiega Raimondo Colangeli, presidente della Sisca (Società  italiana di Scienze Comportamentali Applicate), reduce da un congresso a Lione dedicato proprio al dibattito "Ma possiamo parlare di gelosia tra animali?". Colangeli preferisce parlare di una molteplice varietà  di risposte, da studiare e analizzare in modo sempre differente: «Ad esempio ci sono reazioni legate all'attaccamento che si traducono in disagio o in gioia a seconda della presenza o della mancanza del padrone (se si pensa al rapporto con il nucleo familiare) o della madre (se pensiamo ai cuccioli). In altri casi invece, quando si comportano in modo aggressivo coi proprietari, celano un atteggiamento di possesso; si parla invece di insicurezza e bisogno di competere e di vincere quando entrano in conflitto con un altro animale». 
 Ancora più delicato il momento in cui in casa arriva un nuovo bebè. «In queste situazioni, i genitori si preoccupano e temono da parte del cane di famiglia reazioni di gelosia che si trasformino in atteggiamenti violenti verso l'ultimo arrivato. La questione però è diversa: - precisa il presidente della Sisca - si deve permettere al cane di essere collaborativo. Non bisogna, quindi, isolarlo in presenza del bambino e accudirlo e coccolarlo solo in sua assenza, perchè in questo modo lui assocerà  la mancanza del neonato a una dose maggiore di attenzioni e viceversa la presenza del piccolo sarà  per lui sinonimo di disagio. Bisogna, invece, comportarsi in un modo differente: guardare molto di più il cane in presenza del bebè fino a coinvolgerlo nei momenti in cui si accudisce il bambino».Questi atteggiamenti possono essere gestiti dalla famiglia in maniera autonoma, ma nel caso in cui una coppia abbia grosse difficoltà  o l'animale abbia un carattere difficile è bene chiedere aiuto agli esperti: «Bisogna migliorare la comunicazione. In caso di problemi è consigliato alle donne in gravidanza di seguire un corso prima ancora della data del parto in modo che alla nascita del bambino sia tutto pronto e non si verifichino problemi ulteriori».
Fonte: IN Europa, ottobre 2009
 
Il proprietario coercitivo può favorire l’aggressività del proprio cane
Alcune tecniche di addestramento “fai da te” generano paure e ansia nell’animale
Il parere di Raimondo Colangeli

Prima di rivolgersi a un medico veterinario comportamentalista, molti proprietari di cani hanno in precedenza tentato tecniche di modificazione comportamentale suggerite da una varietà di fonti diverse. I consigli spesso includono tecniche di addestramento aggressive che possono scatenare nel cane comportamenti di aggressività per paura o difesa.

Uno studio ha valutato gli effetti sul comportamento e i rischi per la sicurezza delle tecniche storicamente utilizzate dai proprietari di cani in presenza di problemi comportamentali.
A tutti i proprietari dei cani ricevuti presso un consultorio comportamentale nel corso di un anno è stato somministrato un questionario comportamentale riguardante gli interventi comportamentali precedentemente adottati.
Per ogni intervento applicato, al proprietario si chiedeva di indicare se si otteneva un effetto positivo, negativo o nullo sul comportamento del cane, e se si osservava un comportamento aggressivo in associazione al metodo utilizzato. Si chiedeva inoltre ai proprietari la fonte del consiglio comportamentale.
Venivano completati 140 sondaggi. Le più comuni fonti dei consigli comportamentali erano “se stessi” e “l’addestratore”. Numerose tecniche basate sul confronto come “colpire” o dare calci al cane per un comportamento indesiderato” (43%), “gridare contro il cane’’ (41%), ‘’forzare fisicamente l’animale a lasciare un oggetto dalla bocca’’ (39%), “alpha roll” (ruolo del cane alpha, dominante) (31%), ecc. inducevano una risposta aggressiva in almeno un quarto dei cani su cui erano utilizzati. I
cani visitati perché avevano manifestato aggressività verso una persona familiare avevano maggiore probabilità di rispondere in maniera aggressiva ad “alpha roll” e al “no” urlato, rispetto ai cani che avevano altri problemi comportamentali.
Le tecniche basate sul confronto adottate dai proprietari prima del consulto comportamentale, concludono gli autori, erano in molti casi associate a risposte di aggressività. È quindi importante che il veterinario di base informi il proprietario dei rischi associati a tali metodi di addestramento e fornisca una guida e l’accesso alle giuste risorse per una gestione sicura dei problemi comportamentali.
Il lupo è un animale sociale per eccellenza, spiega Raimondo Colangeli, diplomato comportamentalista ENVF e Presidente SISCA (Società Italiana di Scienze Comportamentali
Applicate), e l’incontro con l’uomo dapprima avviene inizialmente su base sinantropica.
La sinantropia, o mutuo vantaggio, si basava sulla possibilità da parte dell’animale di trovare più facilmente una risorsa alimentare, mentre per l’uomo cacciatore-raccoglitore di aumentare la sicurezza del gruppo con la vigile presenza dell’animale; il rapporto tra i due soggetti divenne sempre più relazionale, da una parte favorito dal bisogno umano di esplicare un comportamento epimeletico (accudire qualcuno), dall’altra favorita dall’aspetto fortemente collaborativo dell’ormai cane con una sovrapposizione del suo welfare conquello del gruppo di appartenenza.
Proprio per questo bisogno di collaborazione stretta tra uomo e cane, di condivisione delle esperienze
con il proprietario quale centro referenziale, gli aspetti comunicazionali e relazionali tra l’uomo e il cane hanno permesso la coevoluzione tra uomo e cane. La trasformazione del rapporto uomo-cane nei secoli è legata alla modificazione della struttura sociale-economica degli uomini della società. La “domesticazione” da parte dell’uomo allevatore-agricoltore è la trasformazione del cane in
soggetto da lavoro e/o da utilità; da qui inizia quella pressione selettiva da parte dell’uomo sul cane che porterà alla variazione filogenetica delle razze, con importanti differenze morfologiche e comportamentali (caccia, conduttori di greggi, guardiani di armenti, ecc.). Purtroppo la visione dell’uomo nei confronti del cane tende a basarsi sul meccanicismo, cioè cane in quanto automa.
In questo contesto facilmente la comunicazione da parte dell’uomo diventa non-assertiva e coercitiva. Da ciò ne conseguono due problemi:
a) il cane entra a far parte del gruppo sociale familiare e in quanto acuto osservatore delle interazioni degli elementi del gruppo, acquisisce e fa proprio lo stile comunicativo: se si alza la voce si dovrà abbaiare, se avvengono conflitti o competizioni basati su scontri fisici all’interno del gruppo familiare, il cane si adeguerà mettendo in atto comportamenti di aggressione per comunicare.
b) la comunicazione basata sulla punizione di comportamenti indesiderati è spesso una punizione ansiogena in quanto esagerata, fuori contesto (le punizioni a posteriori) o etologicamente inaccettabile per il cane; ciò è la causa dell’installarsi di stati psicopatologici quali le fobie e l’ansia, che possono presentare nella loro sintomatologia un comportamento di aggressione.
Tecniche quali ad esempio l’“alpha roll” si basano sulla dominanza e la sottomissione e sono, oltre che sorpassate e non terapeutiche, pericolose in quanto etologicamente non corrette: solamente nel cucciolo si possono mettere in atto i rituali “fisici” di bloccare il cane a terra ecc. e lo fa un adulto regolatore o la madre ma solo per insegnare l’inibizione motoria o i corretti rituali sociali comunicativi che impediranno attacchi da parte di un cospecifico verso il cucciolo che si inserirà dopo la pubertà nel gruppo sociale degli adulti.
Fra adulti, e non parliamo di cani ma lupi, un leader (o alpha) non ha bisogno di sovrastare nessuno, la sua autorevolezza basta per governare il gruppo.
Solo chi vuole mettere in atto una competizione mette in atto meccanismi basati su comportamenti di aggressione.
Il percorso preventivo e terapeutico dei medici veterinari comportamentalisti della Sisca si sovrappone ad un cambiamento culturale nella società attuale: responsabilizzare il proprietario ad acquisire un cane nel ruolo di “pet”, animale da compagnia, dove viene rispettata la sua alterità e favorite le sue potenzialità cognitive, allontanando la deriva antropoformizzante che spesso caratterizza la relazione.
Punto fondamentale è la corretta socializzazione e la conoscenza della comunicazione intra- e interspecifica, l’apprendimento basato sul rinforzo positivo ed il gioco nell’ambito di una relazione basata sulla referenzialità e la collaborazione e non su un’obsoleta teoria di agonismo, asimmetricità basata su dominanza e sottomissione. È solo in questo modo che diminuiremo gli incidenti legati a comportamenti di aggressione da parte dei cani nei confronti delle persone.
 
“ Survey of the use and outcome of confrontational and non-confrontational training methods in client-owned dogs showing undesired behaviors ” Meghan E. Herron, Frances S. Shofer, Ilana R. Reisner. Applied Animal Behaviour Science, Volume 117, Issues 1-2, February 2009, Pages 47-54

Fonte: Vet-Journal, marzo 2009

 
 
I Feromoni
IMPIEGO DELLA FEROMONOTERAPIA NEL CANE E NEL GATTO
 
La comunicazione nel mondo animale avviene tramite i diversi canali sensoriali a disposizione:
  - Canale tatto-cinetico
  - Canale acustico-verbale
  - Canale visivo-comportamentale
  - Canale olfatto-chimico
 
Le varie specie presentano chiaramente delle differenze e preferenze di utilizzo di questi canali.
I segnali chimici sono il più antico e diffuso mezzo di comunicazione utilizzato nel mondo vegetale e animale.
Gli studi effettuati agli inizi degli anni ’60 hanno permesso l’identificazione e la classificazione di un grande numero di sostanze escrete nell’ambiente esterno in grado di modificare la fisiologia e/ o il comportamento dell’individuo ricevente. Queste ultime, percepite dal sistema olfattorio principale ed accessorio, possono essere portatrici di un messaggio rivolto ad individui della stessa specie o di specie differenti. Nei Mammiferi i feromoni sono escreti da differenti strutture ghiandolari distribuite nell’epidermide e nelle mucose attorno agli orifizi naturali. Nel cane le principali strutture secernenti sono le ghiandole sebacee poste nel solco intermammario, le ghiandole periorali (diffuse nel mento, nelle labbra, nella cute del muso nei pressi delle vibrisse e delle guance), le ghiandole ceruminose poste nel padiglione auricolare, le ghiandole anali (che comprendono le ghiandole epatoidi circumanali, le ghiandole sebacee poste nella parte cutanea dell’ano, la mucosa rettale e i seni paranali), le ghiandole sottocaudali (poste sulla faccia ventrale della base della coda), le ghiandole sopracaudali (poste sulla faccia dorsale della base della coda), le ghiandole podali (diffuse nei cuscinetti plantari e nella cute della regione interdigitale), e nella saliva, nell’urina (minzioni sociali) e nelle feci (defecazioni sociali). Inoltre è possibile evidenziare la presenza di feromoni definiti di adozione che sembrano essere in soluzione nel liquido amniotico. Nel cane, questi ultimi, presenti negli invogli fetali durante il parto, aumenterebbero l’attaccamento da parte della madre nei confronti della prole, favorendo così le cure parentali.
Al contrario la produzione del feromone materno attraverso le ghiandole poste nel solco intermammario, e percepite dai cuccioli nel periodo di transizione(14-21 gg), favoriscono l’attaccamento alla figura materna e l’attuazione di due processi fondamentali: l’impregnazione intraspecifica e una corretta omeostasi sensoriale(conoscenza ed arricchimento della banca dati degli stimoli esterni presenti nell’ambiente circostante).
Il Dog Appesing Pheromon, prodotto nel laboratorio Pherosynthèse dell’equipe del dott. Patrick Pageat in Francia e prodotto dalla Ceva Vetem, è la forma sintetica del feromone prodotto dalla cagna. La sua composizione chimica in acidi grassi volatili ha permesso di utilizzarlo sotto forma di diffusore.
La sua azione è dunque di simulare la presenza di quella base rassicurante che è la figura materna, quindi un azione che diminuisce lo stato di stress del cucciolo e del cane adulto.
La feromonoterapia è un supporto nella medicina comportamentale durante l’intervento terapeutico di molte patologie comportamentali:
- l’ansia da separazione legato ad un iperattaccamento primario
- gli stati ansiosi con iperattaccamento secondario legati alla sindrome da privazione sensoriale, alle fobie post-traumatiche, alle fobie sociali, alla sindrome Ipersensibilità-Iperattività
 - gli stati depressivi
Ma il suo impiego può avvenire in altre situazioni che determinano alterazioni emozionali nel cane quali:
 - l’introduzione del cucciolo al momento dell’adozione
 - nell’abituazione del cucciolo a rimanere da solo a casa
 - nella sindrome confusionale dell’anziano
 - durante le visite ambulatoriali
 - durante l’ospedalizzazione.
Anche nel gatto avviene la produzione di feromoni e tra questi sono di particolare interesse quelli legati alla comunicazione territoriale; ciò ci ricorda la fondamentale differenza etologica fra il cane ed il gatto: mentre nel primo l’attaccamento si sposta dalla madre al gruppo sociale di appartenenza, nel secondo avviene sul territorio, suddiviso in campi territoriali. Inoltre è una comunicazione che è rivolta più a chi le produce che agli altri.
La comunicazione territoriale del gatto avviene attraverso le marcature di identificazioni o facciali, le marcature territoriali (marcature urinarie e le graffiature) e le marcature di allarme.
Le marcature facciali sono composte di cinque frazioni, secrete da ghiandole sebacee poste sulla faccia laterale del muso. La frazione F3, effettuata dal gatto sui mobili, oggetti, stipiti delle porte, consente il riconoscimento territoriale; invece la frazione F4 consente l’allomarcatura, cioè il riconoscimento degli individui, sia della stessa specie che di altre(uomini, cani, ecc.), che vivono nel territorio, impedendo così conflitti ed attacchi predatori.
Le marcature territoriali si dividono in graffiature e marcature urinarie. Le prime sono effettuate vicino ai campi di isolamento, dunque dove il gatto dorme. Le seconde sono legate ad eccitazione sessuale, presenza di intrusi, perturbazione emozionale e alla scomparsa di più del 70% delle marcature facciali nel territorio, dunque della frazione F3.
È comprensibile dunque l’utilizzo del Feliway in diffusore, che libera nell’ambiente la frazione F3 sintetica: aumentare lo stato di appagamento del gatto/gatti che vivono nel territorio.
Alcuni esempi sono i seguenti:
 introduzione di un nuovo gattino in casa
 nei traslochi oppure dopo i lavori di ristrutturazione di un appartamento
 durante le visite ambulatoriali
durante l’ospedalizzazione.
 Alcuni Esempi dove la feromonoterapia supporta l’intervento sull’ecosistema del gatto:
 introduzione di un altro gatto in casa
 nelle sovrappopolazioni
 nei disturbi dell’omeostasi sensoriale
 nell’ansia da luogo chiuso
 nelle depressioni
 

IL GATTO DI CASA, DUE O TRE COSE CHE DOBBIAMO SAPERE

di Raimondo Colangeli
Medico Veterinario Comportamentalista

Vorrei raccontarvi la storia di Pallina.
Pallina è arrivata nella nostra casa tre anni fa.
Dopo la morte del cane Arturo e della gatta Lenticchia la casa era rimasta vuota fin troppo tempo.
I miei figli desideravano una nuova micia e siamo andati a sceglierla in un gattile-rifugio.
 
Scegliere un gatto

La prima cosa che ho insegnato ai miei figli, Marta e Tommaso, è che un gatto non è un cane: banale a dirsi, ma sono due specie diverse, due mondi etologici differenti e da scoprire.
La scelta di Pallina è stata difficile fra tanti bellissimi gattini. La seconda cosa che ho insegnato è stato quindi scegliere un micio, un micio che avesse avuto la mamma il tempo necessario perché gli fossero insegnati tre processi fondamentali per la sua vita futura:
■la socializzazione con la propria specie: questo vuol dire riconoscere gli altri gatti come suoi simili e scegliere loro come partner per la riproduzione
■ saper esplorare l’ambiente circostante con tutti i suoi nuovi stimoli acustici, visivi, tattili e odorosi; quindi la presenza della mamma è fondamentale per poter prendere fiato, si dice “appagarsi”, per poi potersi riavvicinare allo stimolo sconosciuto e pian piano abituarsi ad esso
■ acquisire gli auto-controlli, cioè il saper inibire i propri movimenti, controllare il morso e saper retrarre le unghie in modo da non far male ai fratelli mentre si fanno i giochi di lotta. Una delle applicazioni dell’inibizione nei movimenti è quando la mamma gatta prende i figli per la collottola per trasportarli da un posto ad un altro: questo meccanismo viene chiamato, dal francese, “riflesso del portage”.
Quindi abbiamo preso Pallina per la collottola e l’abbiamo sollevata delicatamente; subito si è immobilizzata rannicchiandosi su se stessa: perfetta inibizione, inoltre l’età di adozione era
quella giusta, cioè sui cinquanta giorni di vita e quindi... via a casa.
 
Il territorio del gatto

La terza cosa che ho insegnato ai miei bambini è che un gatto, in quanto essere vivente, va rispettato: si deve lasciare il tempo ad un animale appena adottato di abituarsi al nuovo ambiente, lasciandolo in pace in modo che possa perlustrare l’abitazione, trasformandola in territorio. Questo concetto è fondamentale e differenzia il cane dal gatto: quando il cucciolo di cane diventa adolescente abbandona il tetto materno per entrare a far parte del mondo degli adulti, cioè del branco; questo processo si chiama “distacco”. L’attaccamento che il cucciolo aveva per la madre, figura di riferimento oltre che polo appagante, si trasferisce al nuovo gruppo sociale e particolarmente alla figura del "centro referenziale. Nel gatto, al contrario, l’attaccamento verso la madre si trasferisce al territorio dove andrà a vivere. Marta e Tommaso erano stupiti di vedere Pallina che dopo qualche giorno iniziava a strusciarsi con il muso sui mobili, sugli stipiti delle porte, addirittura sui loro giocattoli oltre che sulle gambe e le mani di tutti i componenti familiari.
Pallina stava rilasciando dei messaggi olfattivi, di cui noi non percepiamo la presenza, tramite delle molecole chimiche chiamate “feromoni” che sono secrete, cioè liberate nell’ambiente, da ghiandole posizionate in diversi punti del suo corpo.
Il gatto segna il suo territorio, si dice “marcare”, in particolare i confini dei campi territoriali ed i sentieri che li uniscono, tramite le marcature di identificazione, che permettono il deposito di feromoni oltre ad altri segnali che possono essere vocali e visivi.
Grazie a questo comportamento egli si sente a suo agio, insomma “a casa sua”.
Tra l’altro con tale comportamento il gatto marca e riconosce più facilmente anche gli esseri viventi a lui graditi: si chiamano “allomarcature”. Ecco perché ama sfregarsi anche su di noi e sui nostri vestiti; è un po’ come se mettesse un cartello con scritto: «questo umano, questo cane, sono miei amici!»; è ciò che viene chiamata “socializzazione inter-specifica”, che impedisce i comportamenti di aggressione predatoria o la fuga per paura.
Ovviamente più marcature feromonali sono presenti e minore sarà la necessità di lasciare segnali di altra natura (e poco graditi da noi umani) nell’ambiente. Quindi ho potuto tranquillizzare mia moglie che già tremava al pensiero delle tende di casa e dei mobili. Infatti il “farsi le unghie”, non è nient’altro che un’altra comunicazione feromonale, oltre che visiva, che è possibile ridurre, o addirittura eliminare, con alcuni accorgimenti. Ad esempio il posizionare i famosi tira-graffi, che devono essere posti in verticale e di materiale quale legno (i gatti adorano quello di ulivo), moquette o corda, vicino a dove il gatto dorme (insomma alla periferia del campo di isolamento). A ciò bisogna aggiungere di evitare di pulire continuamente dove il gatto sta cercando di lasciare i suoi feromoni con le marcature facciali; in caso di graffiature si possono spruzzare sui mobili, magari di gran valore, dei feromoni artificiali, oggi in commercio.
Più complessa è la spiegazione delle “marcature urinarie”. Intanto bisogna differenziarle rispetto alle normali pipì del gatto, dette “eliminazioni”: queste ultime avvengono su supporti orizzontali, su un substrato abituale (sabbietta, terra, ritagli di giornali, ecc.); avvengono con il gatto accovacciatoe con un comportamento di copertura dei bisogni.
Al contrario le marcature urinarie avvengono generalmente su supporti verticali (mobili, muri, porte, finestre, oggetti vari); il gatto, soprattutto il maschio, si pone con la coda alzata ed emette un getto di urina a breve distanza. Molti pensano che siano solamente delle marcature legate alla sessualità, mentre le cause possono essere delle perturbazioni emozionali
(stati ansiosi) o la scomparsa di almeno il 70% delle marcature facciali nell’ambiente. Questo spiega le marcature dopo i traslochi nelle nuove case oppure le ristrutturazioni delle
abitazioni: il gatto si sente perso senza i suoi punti di riferimento territoriali e deve ricominciare da capo a crearsi un territorio, ma ciò avviene con un grande senso di disagio.
Ma attenzione! Prima di pensare ad un problema comportamentale, il vostro medico veterinario dovrà escludere un problema organico legato alle vie urinarie (cistite, presenza
di cristalli nelle urine, eccetera).
Come abbiamo accennato prima, con il nome di territorio si intende un insieme di campi territoriali uniti fra loro da sentieri; fra questi troviamo:
■ il campo di attività: differenziato fra campo di caccia, dove si mangia, e campo di gioco
■ il campo di isolamento: il luogo dove il gatto si apparta, dorme ed evita il contatto.Tutti i mici amano dormire in posti diversi, per esempio Pallina ama stare al sole su un divano o su una poltrona nel salone di giorno, mentre dorme sul nostro letto di notte. È interessante notare che più un gatto è timoroso o poco socializzato e più tenderà a dormire in un luogo appartato o in luogo posto in alto: ciò sottolinea il fatto che il territorio del gatto è tridimensionale
■ il campo di eliminazione: Pallina come la maggioranza dei suoi simili ha imparato subito a cosa serviva la cassetta posta nel bagno di servizio ed ha trovato di suo gradimento il substrato fatto di sabbietta. È importante che la cassetta si trovi in un posto tranquillo, sicuramente non in luogo di passaggio, dove non piova e tiri vento e con una sabbietta non troppo
profumata, in quanto, a causa dell’olfatto così sviluppato e sensibile nel gatto, potrebbe trovarla insopportabile.
Ma allora se il territorio è così importante per il nostro gatto, cosa potrebbe succedere nel caso dovesse essere adottato un altro micio o micia?
L’entrata di un nuovo gatto non è accettata di buon grado da parte del gatto di casa: per lui è un intrusione nel suo territorio.
Quindi non dobbiamo metterli a contatto subito tra loro, ma permettere che si abituino l’uno alla presenza dell’altro in modo graduale e senza scontri. Solo in questo modo i due gatti potranno convivere pacificamente creando dei propri campi territoriali che possono al limite sovrapporsi. Ciò comporta una cassetta, un ciotola per il cibo e per l’acqua per ogni gatto; inoltre dovremo concedere a ciascuno un proprio posto per dormire, a meno che non diventino amici per la pelle tanto che, oltre a giocare a rincorrersi o a simulare una lotta, potremmo vederli ronfare insieme!
 
Il gioco

La quarta cosa che ho insegnato ai miei figli è che il gioco del gatto è fondamentalmente una caccia (si dice “gioco predatorio”). Pallina infatti adora inseguire, balzare sulla preda ed immobilizzarla con i suoi artigli e addentarla.
Per questo motivo è importante insegnargli da subito che la sua preda non possono essere le nostre mani o i nostri piedi!
Altrimenti, quando sarà adulta, rischierà di farci del male, anche se involontariamente.
A Marta e Tommaso ho insegnato quindi a giocare da subito con il loro gatto con delle palline di carta stagnola o dei topolini finti da far acchiappare, delle piume legate ad uno spago da far inseguire, ecc. (non vi sono limiti alla propria fantasia) evitando di fare dei giochi di lotta oppure di favorire gli attacchi alle caviglie delle persone di casa che, quando a compierli è un gattino ci fanno sorridere, ma che fatti da un gatto adulto possono provocare delle serie ferite alle gambe.
Se vi rammentate il discorso sugli autocontrolli che abbiamo fatto all’inizio capirete anche che è necessario interrompere il gioco ogni volta che il gatto si eccita in maniera eccessiva o non retrae le unghie, in quanto il possibile rischio è che non imparerà mai ad arrestare per tempo le sue attività.
Ricordiamoci che il gioco è anche la fonte principale di esperienza e di attività fisica per il nostro gatto: dobbiamo interagire con lui regolarmente tutti i giorni, per rispettare le sue esigenze comportamentali, oltre che per mantenerlo in forma; e non solo da piccolo, ma durante tutta la sua vita.
Gli stimoli psicologici possono anche riguardare l’esplorazione della casa: il poter salire sui mobili, librerie, armadi; il potersi infilare in scatoloni vuoti impilati uno sull’altro e in comunicazione fra loro; nascondere del cibo sotto delle scatoline che il gatto è in grado di rovesciare in modo da scovare “la preda”.
Marta e Tommaso hanno creato in questo modo in casa sia un “Luna Park” sia una “Caccia al tesoro” per Pallina, rendendo meno noiosa la sua vita durante le ore che rimane da sola, mentre i suoi proprietari sono a scuola e al lavoro!
 
Il cibo e l’acqua

Alla domanda dei miei figli di quante volte al giorno Pallina dovesse mangiare, ho risposto: “Sempre!”.
Un gatto, libero in natura, mangia anche 15 o 20 volte al giorno, consumando, ovviamente, dei piccoli pasti. Per un gatto quindi è totalmente innaturale mangiare due o tre volte al giorno. Questa è un abitudine da cane o da umano, che al contrario può causare un notevole stress ad un felino fino al punto da renderlo bulimico (mangiare in modo ossessivo) oppure in alcuni casi aggressivo.
Ecco perché la pappa deve essere sempre lasciata a disposizione, e per far sì che non si deteriori, il cibo da privilegiare è quello industriale secco.
Non bisogna stupirsi se la ciotola si svuota lentamente, in quanto il gatto è molto bravo a gestire la quantità di alimento a lui indispensabile, senza così ingrassare. Non è quindi necessario cambiare continuamente il menu, nella vana speranza che lui spolveri tutta la pappa in una volta.
Al contrario, quando ci troviamo davanti un gatto famelico ci dobbiamo chiedere se il comportamento alimentare è anormale o se siamo di fronte a delle patologie organiche; e fate attenzione, in quanto un gatto affamato è più irritabile e può diventare aggressivo: si sa che a pancia piena si ha meno voglia di litigare!
All’inizio Marta e Tommaso mi chiesero se Pallina bevesse.
La risposta ovviamente era affermativa, ma indubbiamente il gatto assume quantità talmente piccole di acqua (probabilmente a causa delle sue origini desertiche) che la domanda è comprensibile.
L’acqua fresca deve in ogni caso essere sempre lasciata a disposizione se non vogliamo incorrere in seri guai fisici, anche se ci sembrerà un inutile spreco di tempo (specialmente quando vedremo il nostro gatto preferire l’acqua dei sottovasi o le gocce che scendono dal rubinetto).
 
Premio e punizione

Un’altra cosa che ho insegnato ai miei figli è che il significato di punizione a posteriori, cioè la punizione che viene inferta dopo che è avvenuto un fatto indesiderato, non ha alcun significato in natura.
Le punizioni messe in atto dalla mamma gatta sono dei brevissimi colpetti dati con i polpastrelli della zampa anteriore sul naso del gattino oppure delle leggere graffiate date coi posteriori sulla pancia mentre con gli anteriori il gattino viene tenuto fermo (capite ora perché i gatti non amano le coccole sulla pancia, oppure perché non sopportano essere spazzolati sull’addome?).
Ma attenzione, queste punizioni sono messe in atto esclusivamente per interrompere un azione che il gattino sta facendo in quel momento!
Per il nostro gatto essere preso, magari mentre dorme o gioca, e portato davanti a qualche guaio che ha combinato anche solo due minuti prima e poi punito, oltretutto fisicamente, non è solo senza senso e quindi inaccettabile, ma tale da fargli dubitare della vostra sanità di mente. Risultato piuttosto deleterio per un educatore, non trovate?
Ricordiamoci sempre che l’unica punizione accettabile è quella che interrompe l’azione che il gatto sta effettuando e per fare ciò basta alzare la voce dicendo un “No!” secco o battere le mani.
Se vogliamo che impari dei comportamenti corretti, è più utile premiare il nostro amico felino, otterremo molto di più senza rovinare la nostra relazione umano-gatto.
 
Fonte: Mici Amici Provincia di Roma, dicembre 2006 

 
 

IL COMPORTAMENTO DEL CONIGLIO: SIMILITUDINI E DIFFERENZE FRA
CONIGLIO SELVATICO E DOMESTICO 

Introduzione:

Il coniglio domestico si è ormai affermato in Italia come “pet” ed i proprietari di questi deliziosi lagomorfi, così come i proprietari di cani e gatti, sono sempre più sensibili all’aspetto comportamentale dei propri animali domestici e richiedono una preparazione adeguata da parte del medico veterinario. Se a questa esigenza si aggiunge la considerazione che, per il veterinario che si occupa di animali esotici, la conoscenza del comportamento di una specie può fare la differenza fra la vita e la morte del paziente, ci si rende conto di come sia importante approfondire lo studio del comportamento animale anche in questa specie.

Classificazione:

Il coniglio, Oryctolagus cuniculus, appartiene alla classe dei mammiferi, ordine lagomorfi, famiglia leporidi. Appartiene dunque alla stessa famiglia delle lepri, con le quali presenta però molte differenze soprattutto dal punto di vista dello sviluppo comportamentale: mentre il coniglio è una specie nidicola la lepre è nidifuga, i piccoli nascono completamente coperti di pelo e già in grado di alimentarsi da soli, nonostante succhino il latte della madre.
Sviluppo fisico e comportamentale:
Il coniglio è una specie nidicola, i piccoli nascono nudi e con occhi ed orecchie chiusi.
Gli occhi si aprono completamente a dieci giorni, mentre invece le orecchie ad una settimana di vita. Anche il mantello risulta completo dopo una settimana dalla nascita. Il tatto e l’olfatto sono invece molto sviluppati sin dalla nascita, così come la sensibilità alla temperatura. Mentre nelle altre specie nidicole la madre trascorre molto tempo con i piccoli, dedicandosi alla loro pulizia, a riscaldarli, a stimolarli ed a nutrirli, per i conigli questo non avviene. La mancanza di cure parentali complesse è una strategia volta ad evitare che il nido venga individuato dai predatori e probabilmente è strettamente legata allo sviluppo dei piccoli che in questa specie è molto più rapido rispetto alle classiche specie nidicole. La madre allatta i piccoli una-due volte al giorno e trascorre nella tana soltanto il tempo necessario per assolvere questo compito. I piccoli imparano a riconoscerne l’odore dalla secrezione delle ghiandole anali che avvolge le feci che essa deposita all’ingresso della tana e nel nido e, poiché sono attratti da quest’odore, la posizione in cui la madre lascia le proprie feci fa si che i piccoli non si allontanino dal nido. Dunque i coniglietti neonati presentano pochi e semplici comportamenti, incentrati su di un ciclo di 22 ore: durante il giorno dormono mantenendosi a stretto contatto l’uno con l’altro, nel centro del nido, per mantenere la temperatura corporea, con un continuo movimento di rotazione dei piccoli che permette a quelli che si trovano alla periferia di spostarsi verso il centro, attratti dal calore, in modo che nessun coniglietto rimanga troppo tempo ai margini del gruppo e quindi si raffreddi. Dopo circa 22 ore l’attività aumenta ed i coniglietti iniziano a strisciare lentamente verso l’uscita del nido. All’arrivo della madre si raccolgono sotto di lei e cercano il capezzolo per succhiare il latte. Una traccia odorosa li guida fino ad esso, composta prima dall’odore del pelo ed in seguito dall’odore emesso dall’area attorno al capezzolo. Mentre succhiano manipolano l’addome materno con gli arti anteriori, stimolando la produzione di latte. Una volta terminato di nutrirsi urinano tutti senza
bisogno di essere stimolati dalla madre prima di sprofondare di nuovo nella parte centrale del nido, che in questo modo rimane asciutto. Nei primi 11 giorni di vita i coniglietti aumentano notevolmente di peso ed iniziano a mangiare il materiale del nido, di cui non hanno più bisogno perché sono ormai forniti di pelliccia per mantenere la temperatura corporea. Fra gli 8 ed i 12 giorni mangiano anche le palline di feci lasciate dalla madre, probabilmente per costituirsi una valida flora intestinale. L’aroma delle feci della madre dipende dal tipo di piante di cui si è nutrita e sembra che questo aiuti il coniglietto a capire quali piante mangiare una volta svezzato. I coniglietti sviluppano la capacità di muoversi in modo coordinato a due settimane di vita, ed iniziano a seguire la madre sempre più verso l’esterno della tana, entro le due settimane fanno la loro prima uscita dal nido. Lo svezzamento inizia a tre settimane, momento in cui i coniglietti iniziano a mangiare erba e piante, ed è completo a 4-6 settimane. A questa età la madre smette semplicemente di andare al nido a nutrirli e li lascia da soli. Nei conigli domestici lo sviluppo è decisamente diverso, la cure parentali spesso superano le sei settimane e non è raro che coniglietti di due o più mesi tentino ancora di succhiare il latte dalla madre, senza peraltro che ella li allontani. Le coniglie domestiche spesso allattano i piccoli più di una volta al giorno, possono arrivare anche a 4 poppate e spesso rimangono con i piccoli più tempo delle loro conspecifiche selvatiche. E’ importante comprendere però che la madre deve potersi allontanare dai piccoli, soprattutto quando essi iniziano ad essere in grado di saltellare fuori dal nido. Poiché la coniglia è molto sensibile agli odori è importante che i proprietari non mettano le mani nel nido. Se la coniglia è molto ben socializzata con l’uomo potrebbero non esserci conseguenze, ma in caso contrario la coniglia potrebbe abbandonare il nido come farebbe se vi sentisse l’odore di un predatore o addirittura arrivare ad uccidere i piccoli. Nel periodo che precede la pubertà i piccoli raramente si mostrano aggressivi se non per gioco e, se presi in mano, presentano il comportamento di freezing, ovvero s’immobilizzano completamente. Questo comportamento viene spesso confuso dal proprietario per l’accettazione del contatto fisico, quando in realtà si tratta di una situazione di forte timore e tensione emotiva. Questa incomprensione è la causa più frequente di mancata o incompleta socializzazione all’uomo nei conigli domestici. Il proprietario deve imparare a distinguere il freezing (in cui il coniglio rimane immobile ma i suoi muscoli sono tesi e l’espressione facciale è rigida con gli occhi “fuori dalle orbite”, ovvero la tensione del muscoli rende evidente la sclera degli occhi e la pupilla è fortemente dilatata) dal rilassamento che si accompagna alle coccole in un coniglio ben socializzato. Spesso i proprietari prendono in braccio il coniglietto all’improvviso, sollevandolo da terra senza neppure sostenere gli arti e soprattutto senza lasciare che sia lui a decidere se vuole essere preso in braccio. I conigli hanno paura dell’altezza e sono terrorizzati dal non avere gli arti che poggiano su una superficie solida, inoltre tutti i conigli in quanto preda hanno timore delle ombre che provengono dall’alto, perchè in natura vengono spesso predati da uccelli rapaci. Ecco spiegato il timore che i conigli spesso sviluppano per lo stare in braccio, a volte una vera e propria fobia con reazioni di paura che possono giungere fino all’aggressione della persona che cerca di prenderli. La qualità e la quantità dei contatti con l’uomo dal primo al terzo mese di vita segnerà il coniglio per tutta la vita. È proprio in questo lasso di tempo che il coniglio può essere facilmente socializzato con altre specie, ed un errore in questo processo può avere ripercussioni sui rapporti futuri con le altre specie con cui dovrà convivere, primo fra tutti l’uomo. E’ importante comprendere che:

  • dovrà essere sempre il coniglio a decidere di avvicinarsi all’individuo da socializzare, e mai viceversa.
  • bisogna tenere presente che i conigli temono ciò che è alto, perciò per facilitare l’avvicinamento del coniglietto sarà bene sedersi o addirittura sdraiarsi in terra, tenendo in mano del cibo invitante e chiamandolo con voce gentile.
  • i suoni forti ed improvvisi ed i movimenti a scatto determineranno un’immediata reazione di fuga.

Una volta abituato il coniglietto a mangiare fra le gambe del proprietario mentre egli è seduto in terra si potrà passare a convincerlo a salire sulle gambe mentre si è accovacciati e soltanto allora si potrà tentare di prenderlo in braccio, sollevandosi lentamente e mettendo subito un braccio sotto le sue zampe ed un altro sopra la sua groppa, per evitare che salti cadendo in terra.
La discesa testicoli nel maschio avviene a 3 mesi di vita, la femmina è fertile dal quarto mese circa, in generale la pubertà giunge prima per il maschio ed è completa entro i 4-6 mesi di vita. La pubertà segna un momento di cambiamenti imponenti nel comportamento del coniglietto, poiché compaiono tutti i comportamenti legati alla sfera sessuale ed all’età adulta. Il coniglio maschio inizia a montare le femmine e la femmina accetta il corteggiamento dei maschi. Nei conigli selvatici come anche nei domestici i piccoli vengono tollerati fino alla pubertà poi vengono scacciati o devono sottostare alla rigida struttura gerarchica del gruppo. Molto spesso i maschi si allontanano dal gruppo di origine e formano un’altra “famiglia”, non sempre all’interno della stessa colonia. Le femmine più
frequentemente rimangono all’interno del gruppo di origine.

La comunicazione:

il coniglio è una specie sociale fortemente territoriale. I conigli selvatici vivono in gruppi di 4-10 conigli con una struttura fortemente gerarchizzata: il gruppo è controllato da una coppia dominante e le altre coppie o singoli si trovano tutti in una posizione gerarchica ben precisa. All’interno del gruppo i maschi hanno il compito di perlustrare il territorio per individuare la presenza di estranei.
Sarà poi compito del maschio dominante scacciare gli intrusi. La difesa del territorio è molto meno decisa al di fuori della stagione riproduttiva e può capitare che altri conigli, sia maschi che femmine, entrino a far parte del gruppo. In casa le ore luce sono sempre molte, la disponibilità di cibo è elevata tutto l’anno e d’inverno il riscaldamento permette di ottenere una temperatura mite, quindi per molti conigli domestici la stagione riproduttiva non si arresta con l’autunno, ma prosegue per tutto l’anno.
Le femmine scavano cunicoli molto complessi, composti di corridoi di collegamento e di “stanze” per il riposo comune. I conigli sono animali crepuscolari: in natura passano la maggior parte del giorno nei loro cunicoli ed escono nel tardo pomeriggio, poco prima del tramonto. Poiché si tratta di animali fortemente sociali i conigli domestici si adattano facilmente ai ritmi circadiani dei proprietari, arrivando ad essere attivi soprattutto durante il giorno ed a dormire di notte. In ogni caso i picchi di massima attività si verificano la sera e molti proprietari descrivono corse e salti proprio in questo momento della giornata. Proprio per questo motivo il coniglio è un animale che si può adattare alla vita famigliare laddove i proprietari lavorino durante il giorno e siano presenti in casa dal tardo pomeriggio. Poiché i conigli sono animali fortemente territoriali è importante comprendere che non è facile far convivere pacificamente due conigli nella stessa casa se non si attua un corretto inserimento del nuovo arrivato ed una buona gestione del territorio. La maggior parte dei conigli “da compagnia” vive solo con i proprietari, ma spesso viene lasciato solo in casa per molte ore al giorno e la possibilità di avere un compagno o una compagna rende più sopportabile questo quotidiano “abbandono”. Le coppie più facilmente gestibili sono maschio e femmina, avendo cura di sterilizzare entrambi non appena raggiungono la pubertà, ma è possibile avere anche coppie di femmine, soprattutto se sono cresciute assieme. Le coppie di maschi sono molto difficili da gestire, pressoché impossibili da formare se non sono cresciuti assieme.
Per inserire un nuovo arrivato è bene:

  • non utilizzare un ambiente famigliare al “padrone di casa”, bensì un territorio neutrale,precedentemente ripulito dalle tracce odorose.
  • attirare entrambi i conigli con dei bocconcini appetitosi (uno per ciascuno) ed avvicinarli mentre mangiano dalle mani del proprietario.
  • mai mettere le gabbie a contatto se due conigli non hanno già instaurato un legame affettivo: la gabbia è sempre troppo piccola perché uno dei due conigli possa allontanarsi abbastanza da non essere considerato una minaccia per il proprio territorio dal vicino. Inoltre i conigli, soprattutto i maschi interi, spesso non tollerano intrusioni nella gabbia e possono aggredire provocando lesioni anche gravi ciò che entra in quello che percepiscono come territorio proprio. Questo comportamento può essere esacerbato dalla presenza del cibo ed in alcuni casi può comparire anche soltanto in questo caso.

Il comportamento di difesa del territorio è strettamente legato alla presenza degli ormoni sessuali: sia maschi che femmine presentano questo comportamento più marcato prima della sterilizzazione.
La maggior parte dei conigli maschi ed anche molte femmine alla pubertà iniziano a marcare con le urine oggetti e persone. La sterilizzazione determina l’estinzione di questo comportamento nella maggior parte dei casi: il comportamento di marcatura può persistere nel caso in cui si sia instaurata un’abitudine, ovvero sia trascorso molto tempo tra l’inizio del comportamento e la sterilizzazione. Il coniglio marca con le urine (sia oggetti che luoghi che persone), con le feci (spesso depositate in piccoli mucchietti in luoghi ben visibili ai limiti del territorio nel coniglio selvatico, distribuite in giro per la gabbia e nei luoghi che percepisce minacciati nel domestico) ed in particolare con la secrezione delle ghiandole inguinali che avvolge le feci durante l’emissione, con la ghiandola del mento (più spesso oggetti, ma anche i conigli sottomessi ed i piccoli prepuberi). In particolare la ghiandola del mento sembra presentare una composizione particolare nel coniglio dominante, ovvero una maggior quantità di 2-fenossietanolo.
Si tratta di una sostanza comunemente utilizzata dalle aziende produttrici di profumi per rendere più persistente l’aroma, in effetti è un fissativo degli odori: il maschio dominante può marcare con il mento lasciando una traccia odorosa più persistente degli altri conigli. Il comportamento di marcatura è più evidente nel maschio ma anche le femmine lo presentano, soprattutto in relazione con la stagione riproduttiva. Ogni cambiamento, anche minimo, nel territorio del coniglio può stimolare la comparsa del comportamento di marcatura anche in conigli sterilizzati. Poiché un coniglio correttamente socializzato considera membri del proprio gruppo tutti coloro che convivono
con lui in casa è importante saper leggere i segnali comunicativi di questa specie per non incorrere in errori ed incomprensioni che porterebbero a patologie della relazione, che rappresentano la maggior parte dei problemi comportamentali dei conigli.
Quando due conigli sconosciuti s’incontrano possono presentarsi tre situazioni:

  1. nel primo caso uno dei due conigli, di solito colui che si trova al di fuori del proprio territorio, si allontana
  2. nel secondo caso uno dei due conigli può presentare un comportamento di sottomissione (fig 2: il corpo si abbassa e si rannicchia, lo sguardo non è diretto verso l’opponente ma solitamente a 90° circa) , l’altro allora si avvicinerà con postura alta, arti rigidi ed andatura molto lenta, sfregando il mento contro gli oggetti che trova sul percorso e raspando il terreno con gli arti anteriori, potrebbe arrivare a poggiare il mento sulla nuca del sottomesso•
  3. nel terzo caso entrambi i conigli si fronteggeranno con numerose dimostrazioni di “forza”, ovvero sfregamenti del mento, raspare il terreno e avanzando con postura alta e rigidità degli arti, con le orecchie in avanti e lo sguardo fisso sull’avversario.

A volte lo scontro si limita a questa fase ed uno dei due contendenti fugge o assume la posizione di sottomissione, ma se entrambi insistono si arriva allo scontro, con attacchi portati con gli incisivi e gli arti anteriori. Questo tipo di scontri può essere molto pericoloso per la salute di un coniglio, poiché sia gli artigli che i denti sono molto affilati ed i colpi sono portati senza risparmiare energie.
Purtroppo in casa molto spesso non c’è spazio sufficiente per un coniglio per fuggire dal proprio avversario e si arriva facilmente e direi costantemente allo scontro fisico, peraltro molto rapido e pressoché impossibile da interrompere per il proprietario se non con un forte spruzzo di acqua sul muso dei contendenti o con un intenso rumore che spaventi entrambi (si preferisce l’acqua per evitare lo sviluppo di fobie).
Un coniglio può scuotere la testa o battere il piede in terra con forza quando si sente infastidito o irritato da qualcosa o qualcuno ed assumerà la posizione di allerta ogni volta che penserà di percepire un potenziale pericolo.

Il comportamento alimentare:

il coniglio è un erbivoro, i conigli selvatici si nutrono di alimenti molto poveri come le erbe dei prati e del sottobosco, raramente di frutta. Poiché si tratta di un’alimentazione composta per la maggior parte di fibra il coniglio necessita di mangiare molto per sostentarsi, per questo motivo il comportamento alimentare occupa una gran parte della giornata di un coniglio e l’esigenza di masticare continuamente non può essere repressa pena gravi problemi comportamentali in questa specie. E’ importante fornire un’alimentazione il più simile possibile a quella naturale, ovvero fieno a volontà, verdure fresche (soprattutto in foglia, poiché più ricche di fibra) e pellettato composto unicamente di erbe e non di farine di cereali. Il coniglio possiede un metabolismo fortemente conservativo e tende ad immagazzinare tutto ciò che non gli serve immediatamente sotto forma di grasso, quindi se non viene alimentato con alimenti ricchi di fibra tenderà ad ingrassare fino a diventare obeso, stato purtroppo molto frequente in questa specie. Gli alimenti più ricchi vanno dunque razionati e forniti come premio. Poiché il coniglio è molto attratto dagli alimenti dolci, e poiché il fruttosio è l’unico zucchero che è in grado di digerire, l’utilizzo di pezzetti di frutta come premio per le sedute di educazione è un ottimo incentivo per questa specie. La dieta deve essere il più possibile varia non soltanto per evitare carenze di vitamine o elementi ma anche come forma di arricchimento ambientale: poiché il numero di ore che un coniglio trascorre mangiando è molto alto una dieta monotona renderà noiose le ore trascorse ad alimentarsi. Gli alimenti nuovi vanno però inseriti gradatamente, in modo da evitare pericolose modifiche della flora microbica intestinale. E’ altresì importante canalizzare l’abitudine a rosicchiare gli oggetti più svariati con l’utimizzo del “no” e l’offerta di oggetti che il coniglio può masticare senza problemi, da lasciargli sempre a disposizione sia nella gabbia che all’esterno. Fra gli 8 ed i 12 giorni i coniglietti mangiano le palline di feci lasciate dalla madre nel nido, probabilmente per costituirsi una valida flora intestinale. L’aroma delle feci della madre dipende dal tipo di piante di cui si è nutrita e sembra che questo aiuti il coniglietto a capire quali piante mangiare una volta svezzato. Bisogna tenere presente questo concetto quando si offre al coniglietto appena adottato dell’alimento: molti coniglietti mangiano di gusto alimenti ricchi di cereali perché ne hanno “sentito il sapore” nelle feci della madre (che molto probabilmente è stata alimentata con miscele commerciali a base di cereali). E’ uno dei motivi, oltre alla forte attrazione che gli zuccheri esercitano su questa specie, per cui educare un coniglio ad alimentarsi con fieno e pellettati è spesso lungo e complesso. Da ricordare infine che il coniglio ha l’abitudine d’ingerire le feci: non si tratta di feci vere e proprie ma di ciecotrofo, ovvero il prodotto del primo passaggio dell’alimento più fine nel cieco, dove avviene la digestione della cellulosa. Solitamente il coniglio ingerisce questo prodotto direttamente dall’ano nelle prime ore del mattino, ma qualora fosse obeso o soffrisse di problemi articolari potrebbe essere impossibilitato ad ingerirlo e lo si potrebbe trovare nella gabbia:
si tratta di pellets fecali leggermente più morbidi, a volte a grappoli, di colore più chiaro delle feci normali e leggermente lucido.

Il comportamento dipsico e somestesico:

il coniglio selvatico non assume molti liquidi. Per una preda il momento dell’abbeverata può essere molto pericoloso, poiché i predatori conoscono i luoghi in cui l’acqua è disponibile e li controllano in attesa dell’arrivo delle prede. Ma in natura il coniglio si alimenta soprattutto la sera ed al mattino presto, quando la rugiada bagna le piante, e quindi assume la maggior parte dei liquidi che gli necessitano in questo modo. Nel coniglio domestico la quota di acqua assunta nel corso della giornata varia sensibilmente in relazione al tipo di dieta. Se l’alimento somministrato è per la maggior parte asciutto, ovvero fieno e pellettato, la quota di acqua aumenterà sensibilmente, mentre invece tenderà a ridursi molto se verrà fornita più verdura e frutta fresche. Anche se il miglior modo per lasciare l’acqua a disposizione rimane comunque il beverino, poiché non può essere contaminato da feci o urine e si pulisce facilmente, lasciare al coniglio una piccola quantità d’acqua in una ciotola molto piccola può essere una valida alternativa, soprattutto se la si posiziona vicino alla mangiatoia per il pellettato. Molti conigli amano bere mentre mangiano il cibo secco, alcuni utilizzano l’acqua per ammorbidire il cibo direttamente in bocca, mentre masticano.
Per quanto concerne il comportamento somestesico il coniglio selvatico utilizza il leccamento sia per pulirsi che come mezzo per cementare legami sociali. L’allo-grooming (ovvero la pulizia del compagno) viene utilizzato dai conigli appartenenti allo stesso gruppo nei periodi di riposo ed i conigli domestici correttamente socializzati leccano il proprietario nei momenti di riposo e dedicati alle coccole. Poiché il coniglio è un animale che ama pulirsi è bene evitare div lavarlo senza pettinarlo: con il semplice lavaggio si mobilizzano molti peli morti che il coniglio ingerisce in gran quantità e possono predisporre, se ci sono altre condizioni che lo favoriscono come l’alimentazione errata, la replezione dello stomaco ad opera dei tricobezoari.

Il sonno:

pochi proprietari possono affermare di aver visto il proprio coniglio dormire, ovvero disteso e con gli occhi chiusi. Poiché si tratta di una specie preda il coniglio non si può permettere sonni molto lunghi, perciò durante la giornata fa tanti piccoli sonni brevi mantenendo comunque un elevato grado di attenzione all’ambiente circostante. Si può affermare che il livello di arousal del coniglio non scende molto durante il sonno, sicuramente non quanto scende nel cane o nel gatto. I conigli domestici tendono a fare sonni leggermente più lunghi dei loro parenti selvatici, ma mantengono sempre un elevato grado di attenzione. Alcuni conigli molto ben socializzati riescono a dormire più profondamente quando sono in braccio al proprietario che li coccola. In ogni caso qualsiasi rumore o variazione dell’ambiente circostante provoca come minino l’immediata apertura degli occhi.

Il gioco e l’arricchimento ambientale:

i conigli selvatici amano molto giocare fra di loro, soprattutto a rincorrersi, e lo stesso gioco può essere effettuato in casa inseguendo il coniglio e lasciandosi inseguire. Questo gioco presenta però dei rischi se effettuato con conigli non correttamente socializzati. Tentare d’inseguire un coniglio che non considera ancora un pericolo la persona che lo insegue può determinare lo sviluppo di paure ed in seguito di fobie: il coniglio impara a temere il proprietario perché lo rincorre. Un buon gioco da fare con i coniglietti può essere una specie di riporto, in cui si mostra al coniglietto un gioco che ama, per esempio un rametto da rosicchiare, e lo si lancia a poche decine di centimetri di distanza. Il coniglio correrà a prenderlo e, quando l’avrà preso, lo si potrà richiamare indietro offrendogli un bocconcino appetitoso. La maggior parte dei conigli ama giocare con oggetti da spingere, come palline o cose che rotolano. Meglio evitare oggetti molto rumorosi che potrebbero evocare reazioni di paura. Inoltre un buon luogo di gioco per conigli può essere attrezzato con tubi dritti o che fanno delle curve e scatoloni in cui siano stati aperti più fori in cui il coniglio possa infilarsi. Ciascun oggetto deve essere o di materiale commestibile senza pericoli per il coniglio (come carta, legno o cartone) oppure molto duro, in modo che non possa essere ingerito. I conigli amano correre ed è importante che lo facciano su di un terreno adatto ai loro piedi delicati. In natura i conigli camminano sulla terra o sull’erba, ovvero substrati morbidi. Il pavimento è troppo duro per i loro piedi delicati e può causare traumi ripetuti che, col tempo possono essere all’origine delle pododermatiti (ovvero infezioni della cute o peggio delle ossa del piede). E’ buona norma tappezzare i luoghi in cui si aggira il coniglio con tappetini sottili di gomma o di plastica morbida. I tappeti non sono efficaci poiché la stoffa consuma i peli che proteggono i piedi.
I conigli amano scavare, soprattutto le femmine ma anche i maschi, perciò può essere utile posizionare in casa, in un luogo accessibile al coniglio, un vaso piatto e largo con dell’erba. I conigli amano rotolarsi, mangiarla e scavare ed in questo modo si riduce anche il rischio d’ingestione di piante ornamentali, che sono quasi tutte tossiche. Ovviamente si può insegnare al coniglio a non rosicchiare queste piante utilizzando il no ma se non gli si fornisce una valida alternativa sarà sempre attratto da questi vegetali. I cosiddetti giochi da rosicchiare non sono in realtà giochi, ovvero non hanno il compito di permettere al coniglio di giocare bensì servono a lasciarlo rosicchiare, comportamento che questa specie presenta per molte ore al giorno.
Il gioco è un ottimo mezzo di socializzazione ed è indispensabile per formare il legame affettivo fra proprietario e coniglio.
La strutturazione di una gabbia deve considerare le esigenze etologiche del coniglio ed il numero di ore che quel determinato soggetto trascorrerà in essa. Innanzitutto dev’essere abbastanza grande da permettere il posizionamento di un rifugio, una ciotola per il cibo ed una per l’acqua, il beverino, la mangiatoia per il fieno, la cassetta igienica: le dimensioni minime per un coniglio di media taglia (circa 1,8kg) sono 100x60x60. In commercio sono reperibili rifugi che hanno la porzione superiore piatta, in modo che il coniglio possa salirvi e dove si possono posizionare il beverino e le ciotole: in questo modo si può aumentare lo spazio a disposizione del coniglio senza aumentare le dimensioni della gabbia.

Il comportamento di eliminazione:

i conigli selvatici predispongono nel loro territorio delle zone, definite “latrine” in cui viene eliminata la maggior parte delle deiezioni sia fecali che urinarie. Certo una parte delle urine e delle feci viene depositata in altri luoghi, solitamente bene in vista, con lo scopo di marcare il proprio territorio ed il territorio del gruppo. Proprio questo comportamento relativo alle latrine può essere utilizzato per insegnare al coniglio ad urinare e defecare nella cassetta igienica. Certo una piccola quantità di pellets fecali verrà sparsa costantemente nella gabbia, soprattutto dopo le operazioni di pulizia, per marcare il territorio, ma la maggior parte delle deiezioni verrà deposta nella cassetta igienica. L’apprendimento si basa sulla propensione del coniglio a sporcare negli angoli e lontano dal luogo in cui mangia e si riposa. Se si posiziona la cassetta igienica nell’angolo opposto alla tana e ci si mette sopra la mangiatoia sarà molto probabile che il coniglio ci defechi ed urini dentro, poichè il coniglio tende ad urinare e defecare mentre mangia. Il comportamento si può rinforzare con premi in cibo e carezze. Lo stesso metodo si può applicare, una volta che il coniglio avrà appreso ad utilizzare la cassetta nella gabbia, all’esterno. Inizialmente sarà bene posizionare più cassette, una per angolo, per poi eliminare quelle non utilizzate. Ogni comportamento di eliminazione corretto va premiato con il giusto tempismo e senza movimenti rapidi o voce troppo alta, per evitare reazioni di paura del coniglio che potrebbero pregiudicare la corretta educazione. Molti testi riportano che il coniglio ha difficoltà a trattenere a lungo feci ed urine, ma una volta correttamente educato il coniglio tenderà ad eliminare sempre nello stesso posto, al massimo in due luoghi distinti e sarà disposto a trattenere feci ed urine fino a raggiungere il luogo che abitualmente utilizza per questo scopo. La cassetta igienica dovrebbe avere i bordi più alti rispetto alle classiche cassette da gatto ed un punto più basso per permettere l’ingresso senza difficoltà. Le cassette miglioro sono quelle comunemente in commercio per i furetti (fig. 5). Le sponde alte sono molto utili poiché i conigli hanno l’abitudine di rinculare prima di urinare e può capitare che le urine vengano depositate fuori dalla cassetta se i bordi non sono sufficientemente alti. La corretta educazione all’eliminazione può essere persa in parte o completamente in seguito a patologie delle vie urinarie o renali, a dolori articolari o muscolari che rendano difficile raggiungere l’interno della cassetta (non si verifica se la cassetta è quella indicata precedentemente), a gravi patologie intestinali o in caso di ripresa del comportamento di marcatura territoriale in seguito a modificazioni ambientali o inserimento di nuovi elementi nel nucleo famigliare. In questo caso, oltre ad individuare la causa del problema ed instaurare un’adeguata terapia medica e/o comportamentale, bisognerà rieducare il coniglio ad una corretta eliminazione.

Il comportamento di aggressione:

Il coniglio può presentare diversi tipi di comportamento di aggressione, ma sfortunatamente essi sono difficilmente distinguibili fra di loro poiché presentano una sequenza molto simile e soprattutto molto rapida, quindi difficilmente identificabile. Il coniglio aggredisce sia mordendo con gli incisivi che con le unghie degli arti anteriori. Il coniglio abbassa le orecchie e si slancia verso l’avversario con gli arti anteriori sollevati e la bocca aperta, con gli incisivi bene in mostra. Se ne deduce che il miglior modo per identificare il tipo di comportamento di aggressione è lo studio del contesto che lo ha scatenato.
Il comportamento di aggressione territoriale viene messo in atto quando il coniglio sente minacciato il proprio territorio. Tutti i conigli considerano proprio territorio la gabbia in cui vivono ed è quindi buona norma non pulirla in loro presenza. A volte questo comportamento si presenta soltanto quando è presente del cibo: poiché il coniglio selvatico difende il tratto di pascolo che apprezza maggiormente da eventuali avversari il coniglio domestico, soprattutto se non correttamente o completamente socializzato, può percepire come una minaccia la presenza del proprietario mentre sta mangiando. A volte l’aggressione si verifica quando il proprietario mette la ciotola con il cibo all’interno della gabbia. L’aggressione territoriale è più evidente e frequente nei conigli maschi interi e nelle femmine gravide o con pseudogravidanza. Nel primo caso è evidente come l’azione degli ormoni sessuali renda più reattivo il coniglio: il comportamento di difesa del territorio compare alla pubertà e si riduce molto nei conigli sterilizzati. Nel caso di coniglie si tratta di comportamento di aggressione “materno”, ovvero la madre difende il nido ed i piccoli che vi si trovano dentro (anche se immaginari). Questo comportamento viene preceduto da segnali di minaccia e d’irritazione come mostrare i denti, battere il piede in terra o un grugnito basso e sordo, oppure dalla posizione di allerta, alcuni autori descrivono anche sobbalzi sul posto ma solitamente è difficile osservarli nei confronti dell’uomo. Il lasso di tempo che intercorre fra la fase di minaccia e l’aggressione vera e propria è spesso molto breve ed il segnale di allerta è difficile da interpretare per i proprietari, che vanno spesso incontro ad aggressioni. Solitamente si tratta di un morso singolo seguito da un passo indietro e dall’assunzione della posizione di allerta, ma se “l’intruso” non si allontana può essere seguito da altre aggressioni. Alcuni conigli inseguono l’intruso mentre si sta allontanando.
Il comportamento di aggressione per irritazione si presenta solitamente in conigli poco o mal socializzati quando il proprietario cerca di prenderli, carezzarli soprattutto sul posteriore o pettinarli o verso persone specifiche di cui il coniglio ha timore. E’ solitamente connesso a tentativi di contatto che il coniglio teme e che vuole evitare. La sequenza di aggressione è molto simile alla precedente ma la fase di minaccia può essere assente o molto rapida. I morsi possono essere multipli se l’oggetto dell’irritazione non si allontana velocemente. Il comportamento di aggressione da paura è caratterizzato da morsi anche multipli con contemporanea evacuazione di feci e/o urine ed è anch’esso frequentemente legato a tentativi di cattura di conigli non socializzati. Una volta lasciato libero il coniglio si nasconde rendendo una nuova cattura è pressoché impossibile.
Il comportamento di aggressione gerarchica si verifica unicamente con i conspecifici ed è caratterizzato dalla sequenza di azioni descritte nel capitolo sulla comunicazione.
Come accennato precedentemente l’identificazione del tipo di comportamento di aggressione richiede un’analisi precisa del contesto in cui si è verificato, tenendo conto che molto spesso possono coesistere più motivazioni per un’aggressione: ad esempio l’irritazione e la difesa del territorio.

Il comportamento sessuale:

Il coniglio selvatico è un poliestrale stagionale, ovvero un animale in cui la femmina presenta più cicli estrali durante la stagione riproduttiva, che inizia con l’allungarsi delle giornate, la presenza di una maggior quantità di cibo a disposizione e una temperatura più mite, ovvero in primavera e prosegue per tutta l’estate. Al termine della stagione riproduttiva la fertilità sian nei maschi che nelle femmine si riduce drasticamente fino a scomparire del tutto. I conigli che vivono in casa possono presentare attività riproduttiva anche per tutto l’anno, poiché il cibo viene loro fornito in abbondanza, la sera sono sottoposti a luce artificiale e la temperatura è resa mite anche in inverno grazie al riscaldamento.
Le coniglie presentano dei cicli estrali di circa 7 giorni. Nei primi 3-4 giorni la cellula uovo matura nell’ovaio. Appena l’ovulo è maturo, ovvero per i successivi 2-5 giorni, la coniglia è recettiva al maschio ed accetta il corteggiamento e l’accoppiamento. L’ovulazione della coniglia è indotta dal rapporto sessuale ma non si è sicuri se sia semplicemente la stimolazione della vagina a determinarla. Molto probabilmente è l’insieme di stimolazioni provocate dal maschio ad indurre il passaggio della cellula uovo nelle tube di Falloppio. Questo fa sì che l’ovulazione possa essere causata anche da stimoli molto simili a quelli che si hanno durante l’accoppiamento e questo potrebbe essere la spiegazione dell’elevata frequenza di pseudogravidanze in coniglie domestiche adulte che non si accoppiano: le coccole, in particolare quelle localizzate nella regione del collo e dietro la nuca, potrebbero “mimare” la presa del maschio al momento del coito e determinare l’ovulazione e, di conseguenza, la pseudociesi, della durata di 16 giorni, durante i quali la coniglia non è fertile. Si tratta di una tesi ancora da dimostrare ma che sembra piuttosto plausibile. Il ciclo ormonale (e quindi comportamentale) delle femmine prosegue anche durante la gravidanza, infatti molte femmine vengono coperte verso il quattordicesimo giorno di gestazione, anche se la frequenza degli accoppiamenti diminuisce molto. Poiché alle modificazioni ormonali indotte dalla gravidanza, e dalla pseudogravidanza, si associano delle modifiche comportamentali è possibile evidenziare nelle coniglie domestiche dei “cambiamenti di umore” di natura ciclica relativi alla sequenza ciclo estrale-recettività all’accoppiamento-ovulazione non fertile-pseudociesi. Durante il periodo recettivo la coniglia è solitamente molto socievole e cerca le coccole e le attenzioni del proprietario, quando poi compare la pseudociesi può divenire intollerante alle manipolazioni e presentare un comportamento di aggressione territoriale anche marcato. In realtà si tratta di un comportamento di aggressione materno, lo stesso che la coniglia presenta quando si cerca di avvicinarsi al nido in cui si trovano i piccoli. Alcune coniglie possono presentare tutta la sequenza di costruzione del nido, ovvero scavare in terra (solitamente all’interno della gabbia), strapparsi il pelo dalla giogaia e rimanere accucciata o distesa nel nido come ad imitare il parto. Alcune coniglie giungono perfino a ridurre l’assunzione di cibo durante la pseudociesi. Le coniglie selvatiche scavano un buco non molto profondo lontano dalla tana in cui dormono con il gruppo, per evitare che altre coniglie possano avvicinarsi alla nidiata, poiché sicuramente eliminerebbero tutti i coniglietti. In casa è importante fornire alla femmina un luogo tranquillo e riparato dove partorire ed evitare intrusioni nel nido fino al venticinquesimo giorno, momento in cui lo svezzamento sarà già iniziato ed i piccoli saranno più indipendenti. Il comportamento di costruzione del nido è indotto dall’azione di vari ormoni, in particolare un ruolo cardine viene giocato dagli estrogeni, dal progesterone, dalla prolattina, dall’ossitocina e sembra che anche il testosterone abbia un ruolo attivo in alcuni aspetti della costruzione del nido, soprattutto in sinergia con il progesterone, e che determini la riduzione di assunzione di alimento tipica di questa fase. Il comportamento di strappamento del pelo è fondamentale, poiché la coniglia secerne un feromone di appagamento nella regione della giogaia proprio quando lo strappa ed esso permea il nido. I coniglietti sono attratti da questo odore e tendono a restare tutti uniti nel nido. Se la coniglia non ha fatto il nido con il pelo i coniglietti si disperdono e possono venire schiacciati o peggio ancora divorati dalla madre.
Sia il maschio che la femmina difendono il nido e marcano le zone attorno ad esso. Anche il comportamento di corteggiamento e di accoppiamento dei conigli mostra delle caratteristiche particolari che sono indispensabili per una corretta interpretazione di alcuni comportamenti del coniglio domestico. Il coniglio maschio individua la femmina recettiva all’accoppiamento attraverso i feromoni che essa emette ed inizia un comportamento d’inseguimento partendo da circa 5 metri di distanza, poi si avvicina gradualmente assumendo un’andatura impettita, irrigidendo gli arti e girandole attorno in cerchi sempre più stretti, a volte girandosi e spruzzandola di urina. In alcuni casi ci può essere un inversione di ruoli e la femmina può inseguire il maschio con modalità simili. Infine si ha l’accoppiamento: il machio afferra la femmine per la pelle dietro la nuca ed effettua poche spinte pelviche, al termine delle quali sviene per pochi secondi cadendo di lato a fianco a lei. Molti conigli domestici maschi interi effettuano i giri di corteggiamento attorno alle gambe del proprietario, soprattutto se di sesso femminile, e possono anche spruzzare urine. Molti conigli maschi alla pubertà eseguono la sequenza di accoppiamento con mani e piedi del proprietario. Tutti questi comportamenti, solitamente poco apprezzati dal proprietario, scompaiono dopo la sterilizzazione.
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www.protty.it tutta la sezione sul comportamento
www.rabbit.org tutta la sezione sul comportamento

File Allegato:
 Comportamento del coniglio

 

 
Problemi comportamentali del furetto
Anche in questa specie, possono essere affrontati con terapie farmacologiche e comportamentali

Problemi di iperattività, socializzazione, ansia, fobie o eliminazione inappropriata possono essere affrontati, anche nel furetto, con terapie farmacologiche e comportamentali. L’inquadramento diagnostico e terapeutico delle patologie comportamentali in questa specie è staoe spiegato da Marzia Possenti (Med Vet, Milano) al Seminario SIVAE organizzato in collaborazione con SISCA “La medicina del comportamento nei nuovi animali da compagnia: semiologia, patologia e terapia” (Cremona, 27-28 febbraio 2010).

La sindrome ipersensibilità-iperattività

Si tratta di una patologia piuttosto rara ma molto grave, poiché nel furetto evolve velocemente e drammaticamente in un’iperaggressività con aggressioni incontrollate, morsi continui e vulneranti. La patogenesi è molto simile a quella del gatto: mancanza di apprendimento degli autocontrolli nella fase adeguata dello sviluppo comportamentale ma con la differenza che in questo caso sembrerebbe non essere necessaria la presenza di un adulto regolatore per l’apprendimento a patto che ci siano altri furettini con cui interagire. I furetti affetti da questa patologia non presentano il portage neppure da cuccioli, mentre invece molti furetti normocomportamentali lo mantengono anche da adulti, assieme al classico sbadiglio. Mentre i cani hsha hanno problemi nello strutturare i pattern di esplorazione i furetti presentano questo disturbo in forma diversa: i pattern sono normali ma vengono ripetuti con frequenza probabilmente perché il furetto ha problemi di apprendimento legati all’elevato livello di arousal ed alla conseguente riduzione della concentrazione. Spesso altre entità nosografiche si sovrappongono alla patologia di base, molto spesso la fobia sociale (che tende a svilupparsi piuttosto velocemente) o la dissocializzazione, quest’ultima legata agli evidenti problemi di manipolazione di un soggetto estremamente mordace. Più spesso si presenta una totale mancanza di socializzazione proprio perché l’estrema gravità dei sintomi scoraggia i contatti sin dalla più tenera età. 
Questi pazienti sono pressoché incontrollabili: il livello di attività è talmente elevato che vengono costantemente tenuti in gabbia per la totale impossibilità di recuperarli una volta liberi causando un ulteriore aggravamento della sintomatologia. A causa del comportamento di gioco del furetto il morso è molto forte sin dall’inizio dei contatti e molto spesso tenuto, anche se in seguito tende ad essere singolo con allontanamento del paziente se sono presenti anche fobie sociali o dissocializzazioni. Come per le altre specie questi pazienti vengono allontanati dai propri consimili poiché presentano dei comportamenti di approccio totalmente errati, incontrollati e sono estremamente insistenti nella richiesta di gioco, arrivando ad attaccarsi con il morso alla collottola della vittima anche mentre questa si muove velocemente nel tentativo di allontanarsi. Come per le altre specie esistono forme meno gravi di questa patologia, difetti degli autocontrolli in cui i sintomi sono di intensità variabile. In questi casi lo sviluppo delle suddette patologie correlate è molto meno frequente ma sembra permanere come sintomo costante la mancanza di portage.

Le dissocializzazioni

Sono decisamente poco frequenti poiché il furetto è un animale molto portato ad interagire con altre specie, che si adatta piuttosto facilmente a specie sconosciute anche se non ci è venuto in contatto durante lo sviluppo. Il processo di generalizzazione è piuttosto rapido e dunque non sono necessari contatti con molti soggetti della stessa specie per una corretta socializzazione, anche se si tratta comunque di un’eventualità auspicabile. Sono da escludere le specie preda di dimensioni adatte ad essere cacciate: in questo caso l’istinto predatorio del furetto spesso sopravanza il processo di socializzazione. Negli ultimi tempi è venuta in auge l’abitudine di incrociare il furetto con il visone per ottenere soggetti con il mantello nero, il cosiddetto blackself, varietà di colorazione particolarmente ricercata. Questi soggetti sono purtroppo quasi costantemente non socializzati poiché il visone è un animale selvatico a tutti gli effetti che non socializza con l’uomo. Si tratta di animali molto violenti, che iniziano a presentare un comportamento di aggressione piuttosto forte in giovane età, molto prima della pubertà, e difficilmente recuperabili. La strumentalizzazione del comportamento di aggressione in caso di dissocializzazione avviene piuttosto spesso. Il caso più frequente invece è la difficoltà del furetto a sopportare il contenimento fisico, l’immobilizzazione o le carezze: queste situazioni possono scatenare aggressioni da irritazione che portano ad una manipolazione difficoltosa e un deterioramento nella relazione furetto-uomo.

Le fobie

Sono spesso legate a suoni improvvisi e molto forti, ad oggetti particolarmente rumorosi o a odori che il furetto considera fastidiosi. Il processo di generalizzazione in questo caso è raro e sono più frequenti fobie singole che multiple, fenomeno che sembrerebbe indicare la scarsa propensione nel furetto che presenta una fobia a svilupparne altre. Il comportamento di anticipazione e di evitamento è ben evidente ed i segnali di stress emessi dal paziente sono quelli classici: leccamento delle labbra, sbadigli, attività di sostituzione, ipervigilanza, tachicardia/tachipnea. La comparsa dello stimolo fobogeno causa una reazione di fuga precipitosa con frequente perdita di urine e/o feci oppure un comportamento di aggressione con ringhi e soffi particolarmente sonori emessi mentre il furetto rincula ed aggressione con morso vulnerante. In alternativa si ha un comportamento di aggressione da distanziamento in cui il furetto si proietta in avanti senza rinculare prima.

L’eliminazione inappropriata

E’ un problema molto frequente in questa specie, soprattutto in caso di gruppi numerosi. Il sovraffollamento e la carenza di cassette per l’eliminazione, assieme ad eventuali problemi di accesso alle cassette dovuti ad agguati da parte di membri del gruppo (vedi fenomeno del furetto vessato) spinge i furetti ad eliminare dove si trovano nel momento in cui percepiscono lo stimolo eliminatorio. La gestione delle cassette è molto simile a quella indicata per i gruppi di gatti, con accessi multipli che rispettino le aree di insistenza dei singoli individui ed i loro spostamenti, stessa cosa dicasi per la forma della cassetta ed il tipo di substrato. La pulizia assoluta della cassetta non è invece indicata: meglio lasciare una piccola quantità di feci od urine per indicare che si tratta di un luogo di eliminazione, altrimenti si rischia che venga utilizzato come gioco (i furetti amano scavare). Nel caso in cui invece le feci o le urine vengano lasciate sempre nello stesso posto, un luogo bene in vista o di passaggio, è più probabile che si tratti di una marcatura. Le marcature sono frequenti in caso di modifiche dell’ambiente o inserimento di nuovi elementi nel gruppo (di qualsiasi specie) e possono velocemente trasformarsi in “abitudine ad eliminare nel posto sbagliato”. 

Il fenomeno del “furetto vessato”

Si tratta di un fenomeno relativamente frequente nei gruppi di furetti, soprattutto quelli numerosi. Non si tratta, come può capitare nei cani, di un soggetto omega che viene vessato da tutto il gruppo ma di singole intolleranze. Molto spesso sono le femmine a sviluppare questo tipo di comportamento: un furetto ne prende di mira un altro e lo aggredisce continuamente, qualsiasi cosa esso faccia, in ogni momento, allontanandolo continuamente dal gruppo e trascinandolo anche per lunghi tragitti con una salda presa per la collottola. Tipicamente il furetto aggressore è di status sociale più elevato rispetto all’aggredito, ma non necessariamente l’aggredito si trova in fondo alla scala sociale. A volte altri membri del gruppo s’interpongono per interrompere queste continue aggressioni, ma l’aggressore apprende ad effettuare gli attacchi in privato, quando nessuno lo nota. Spesso all’aggredito è impedito l’accesso alle cassette igieniche, soprattutto se queste sono coperte, perché l’aggressore si nasconde sul tetto ed assale la vittima appena questa si avvicina alla cassetta. Di solito la vittima apprende velocemente ad anticipare l’aggressione con grida e lamenti acuti, non commisurabili alla gravità dell’aggressione, presenta problemi di eliminazione inappropriata, spesso elimina feci e/o urine durante le aggressioni e tende a ridurre moltissimo le marcature con i fianchi ed a eliminare in luoghi poco visibili. 

L’ansia

Si accompagna molto spesso alla sindrome ipersensibilità-iperattività, alle fobie nel caso in cui il paziente non possa sottrarsi allo stimolo fobogeno, è pressoché una costante nei problemi di socializzazione e nei casi di “furetto vessato”. I segnali di stress sono stati elencati nella sezione sulle fobie sono presenti nell’ansia intermittente, nella forma permanente prevale lo stato depressivo ma sono rarissime le stereotipie. Le marcature con i fianchi, ma soprattutto quelle con le feci, sembrano aumentare in caso di ansia intermittente.

Terapia farmacologica

Non esiste nessun tipo di letteratura sull’utilizzo di psicofarmaci in questa specie, si tratta unicamente di informazioni aneddotiche. Il farmaco maggiormente utilizzato è sicuramente la fluoxetina (2 mg/kg sid) nei casi di ipersensibilità/iperattività e per ridurre il comportamento di aggressione in caso di fobie sociali o di dissocializzazione. Personalmente ho utilizzato qualche volta la clomipramina (1 mg/kg bid) in pazienti con stato ansioso particolarmente grave, soprattutto nei casi di fenomeno del furetto vessato. In questo stesso caso ho utilizzato più volte la fluoxetina per il furetto aggressore, con discretto successo. Gli unici studi riportari riguardano la soppressione del comportamento di predazione mediante psicofarmaci, sia diazepam che clomipramina e fluoxetina, e sono di poco interesse a scopo terapeutico. Sono invece utili nell’evidenziare ancora una volta differenze funzionali di specie: mentre fluoxetina e clomipramina inibiscono il comportamento predatorio nel ratto non avviene lo stesso nel furetto, anche a dosaggi piuttosto elevati. Neppure il diazepam, che pure è un farmaco inibente, è in grado di ridurre questo comportamento.

Terapia comportamentale

Per la sindrome ipersensibilità-iperattività non si può prescindere da una terapia farmacologica, fondamentale per ridurre la frequenza e la gravità delle aggressioni e per rendere possibile un contatto con il proprietario. Bisogna considerare che nel furetto hs/ha non è presente il riflesso del portage e dunque non è possibile utilizzare questa “punizione etologica” (in effetti si tratta di un segnale di stop) come mezzo terapeutico. E’ importante spiegare al proprietario che confinare un furetto con questa patologia in una gabbia lo renderà decisamente poco trattabile, poiché non avrà la possibilità di muoversi e fare attività fisica, fondamentale per migliorare la qualità di vita in qualsiasi furetto ma ancor più importante in un paziente iperattivo. Il confinamento determina pressochè costantemente uno stato ansioso, assimilabile all’ansia da luogo chiuso del gatto, e dunque peggiora ulteriormente la sintomatologia, aumenta le aggressioni e deteriora terribilmente la relazione già scarsa e difficile con il gruppo familiare. In effetti la miglior terapia comportamentale, soprattutto per pazienti giovani (sotto i 6-7 mesi di vita), consiste nell’utilizzo di un adulto regolatore, ossia una altro furetto, normocomportamentale, possibilmente adulto poiché deve gestire un paziente patologico e che necessita di molta forza fisica ed esperienza, che insegni gli autocontrolli al furetto iperattivo. Nel furetto è possibile utilizzare anche un cucciolo, a patto che sia di dimensioni maggiori rispetto al furetto che richiede terapia (per ridurre il rischio di ferite e per favorire la vittoria del furetto sano negli scontri di controllo). La terapia con adulto o altro cucciolo regolatore è sicuramente la più efficace e l’unica che determini una remissione quasi completa dei sintomi: tanto migliore quanto più giovane sarà il paziente al momento d’iniziare. In furetti che hanno raggiunto la pubertà la terapia con adulto regolatore diviene molto difficile, in alcuni casi è possibile previa sterilizzazione precoce del paziente.
Terapie alternative comprendono esercizi di concentrazione e rilassamento effettuati dal proprietario in un contesto assolutamente privo di distrazioni, possibilmente in un ambiente povero di elementi di arredo (ulteriore fonte di distrazione). Si possono effettuare esercizi di concentrazione su di un oggetto specifico ed insegnare al furetto a seguirlo a vista attraverso percorsi via via più complessi. L’oggetto dev’essere interessante ma non in maniera eccessiva, per evitare la sovreccitazione del paziente e dunque la perdita di attenzione. Il contatto fisico, soprattutto in furetti con forme gravi, è possibile soltanto in un secondo tempo, quando si sarà formato un buon legame affettivo con i membri del gruppo, ottenuto attraverso le attività collaborative di gioco. I giochi intelligenti in questo caso sono indicati soltanto in un secondo tempo, quando il furetto avrà raggiunto una buona coordinazione psicomotoria, in modo da evitare insuccessi che lo porterebbero a diminuire la percezione delle proprie capacità e agli effetti relativi alla frustrazione in caso di insuccesso (praticamente certo, se prima non si lavora sulle capacità di coordinazione). Altri esercizi possibili sono il cerca, il nascondino. Quest’ultimo gioco però dev’essere effettuato con attenzione ed il proprietario deve rimanere fermo una volta trovato, per evitare l’innescarsi di una sequenza di predazione, soprattutto le prime volte che lo si effettua: è molto utile farlo seguire da esercizi di siedi-resta, per ridurre la tensione emotiva. 
Le punizioni sono assolutamente controindicate poiché scatenano quasi costantemente una reazione di aggressione e un aumento dello stato eccitatorio, fino a rendere il furetto totalmente incontrollabile. L’unico metodo consigliabile consiste nell’ignorare il comportamento indesiderato del furetto ed allontanarsi in attesa che termini. Un buon metodo per lavorare in sicurezza consiste nel confinare il furetto in una stanza in cui si sia effettuato un ottimo arricchimento ambientale, anche in verticale, e permettergli inizialmente l’uscita soltanto per le sessioni di gioco, in modo che apprenda a comportarsi in modo diverso in contesti diversi. In ogni caso la terapia è piuttosto lunga, molto impegnativa e non scevra di rischi: meglio consigliare al proprietario d’indossare stivali e guanti da giardinaggio soprattutto nelle prime settimane di terapia, in modo da evitare di essere ferito.
Per la dissocializzazione la terapia prevede l’utilizzo di farmaci soprattutto nel caso in cui siano presenti aggressioni da paura o da irritazione per paura. Socializzare un furetto adulto è possibile, ma richiede molta cautela, tempo e pazienza. L’utilizzo del gioco come mezzo terapeutico è fondamentale, soprattutto per ridurre le distanze nelle fasi iniziali e per “rendere interessante” la persona. Bisogna evitare assolutamente il rincorrersi, perché determinerebbe una forte stimolazione del comportamento predatorio da parte del furetto verso una specie cui non è ancora socializzato e che verrebbe dunque identificata come preda. Dunque il proprietario dovrà restare fermo e non correre in caso di aggressioni, bensì rimanere immobile, fronteggiare il furetto, assumere la posizione di irritazione e gridare “no!” con voce forte e tono basso, eventualmente battendo le mani in contemporanea nel caso in cui il semplice no non fosse sufficiente, Anche qui consiglio di lavorare indossando stivali e guanti da giardinaggio, per evitare ferite e dare maggiore sicurezza al proprietario, che sarà meno portato alla fuga. Molto utili i giochi in cui il furetto deve inseguire oggetti attaccati a fili o steli di plastica o legno, che stimolano il gioco concentrandolo su di un oggetto neutro e permettono a chi lo manovra di fare passaggi via via più vicini alle persone, in modo da ridurre la distanza di fuga. Ogni volta che il furetto passa di fianco alla persona questa può lanciargli un pezzetto di cibo particolarmente appetito e parlargli pronunciando parole di lode con voce allegra a soddisfatta. E’ importante che i giochi utilizzati per queste sessioni non siano disponibili in altri momenti, proprio per rendere la sessione unica ed aumentare la motivazione del furetto. Una volta ridotta la distanza di fuga si può passare ad esercizi di presa di contatto, tenendo presente che comunque la sequenza di approccio di un furetto sarà sempre, all’inizio, di annusare e poi di mordere per ribaltare l’avversario, come in un gioco o in uno scontro gerarchico. E’ dunque importante indossare guanti pesanti e stivali e gridare no quando il furetto tenta di mordere, senza tirare indietro la mano o la gamba per non stimolare la predazione. L’uso dei guanti da giardinaggio, magari di una taglia più grande rispetto alle mani, permette di effettuare questo esercizio senza ferite. I guanti dovranno essere stati precedentemente sfregati contro la pelle della persona che deve effettuare l’esercizio ed ogni persona dovrà utilizzare un paio di guanti personale, poiché il primo riconoscimento fra membri del gruppo avviene tramite l’odore. Il proprietario dovrà parlare con dolcezza al furetto finchè si comporta correttamente, se non mostra segni di agitazione o di aggressività. I primi contatti fisici si possono prendere con i fianchi e il dorso, meglio mentre il furetto mangia. 
Per le fobie il controcondizionamento può essere efficace ma è importante associarlo con giochi intelligenti, intensa attività ludica in luogo del seduto durante le sessioni e molte attività collaborative con il proprietario per aumentare il legame e la fiducia del furetto nel proprietario. E’ importante spiegare al proprietario la corretta prossemica per motivare il furetto ad avvicinarsi a ciò che lo spaventa (la stessa che nel cane). 
Per l’eliminazione inappropriata è importante comprendere la causa: se si tratta di fenomeno del furetto vessato o di marcature relative ad uno stato ansioso bisogna curare le patologie sottostanti. In caso di sovraffollamento la terapia è la stessa che nel gatto, soltanto che bisogna sempre lasciare una piccola quantità di feci ed urine in ogni cassetta perché non venga scambiata per un gioco. In ogni caso non bisogna mai pulire di fronte al furetto, allontanarlo senza costringerlo e poi passare detersivi che non contengano candeggina o ammoniaca e dopo acqua e bicarbonato. Effettuare sempre una rieducazione all’uso della cassetta igienica premiando il furetto ogni volta che fa i bisogni nel posto giusto, evitare le punizioni in caso di marcature da stato ansioso, perché peggiorano la sintomatologia.
Per il fenomeno del “furetto vessato” è importante l’utilizzo di farmaci poiché le aggressioni sono ormai nella fase di obnubilazione, ossia avvengono alla semplice vista della vittima. Il farmaco aiuta a rompere questo meccanismo rigido e riduce visibilmente la sofferenza psicologica (oltre che fisica) del furetto aggredito. In questo caso, se il gruppo è più numeroso di 2 soggetti, è bene separare i furetti implicati e approntare comunque delle sessioni di gioco in cui siano presenti alternativamente vittima ed aggressore, in modo da non alterare i rapporti con il resto del gruppo. Nel caso uno dei furetti interessati fosse intero sarà bene sterilizzarlo, per ridurre il comportamento di aggressione. Dopo una pausa di alcune settimane in cui i due furetti non si vedono, non si sentono e non percepiscono i rispettivi odori, durante la quale i farmaci hanno avuto modo di raggiungere piena efficacia, si può valutare l’opportunità di far percepire ai due i rispettivi odori, separandoli con una porta in modo che non possano vedersi. Se le reazioni non sono eccessive si possono iniziare a scambiare gli odori, mescolando l’odore del furetto aggredito con quello di altri membri del gruppo. La stessa vittima può essere strofinata quotidianamente con un panno che è stato prima passato sugli altri furetti del gruppo. Quando i due furetti non mostrano più segnali di ansia o comportamenti di nervosismo o di aggressione sentendo l’odore dell’altro si può sostituire la porta chiusa con una rete metallica a maglie fitte e lasciare che i due furetti possano vedersi “casualmente” perché uno dei due passa vicino alla porta o in un punto visibile. Si può tentare anche posizionando due ciotole a forte distanza dal divisorio, in modo che i due furetti possano prima vedersi in piccola parte e poi sempre meglio, se mantengono un comportamento rilassato mentre mangiano alla vista dell’altro. Questo processo può richiedere molti mesi, a volte più di un anno, soprattutto se le aggressioni sono state molteplici e la vittima si trova in un grave stato ansioso. Sconsiglio in questo caso di far giocare il furetto aggressore in presenza dell’altro, perché facilmente dall’attività ludica si può passare all’aggressione peggiorando ulteriormente la patologia.
Per l’ansia si può utilizzare la clomipramina come ausilio terapeutico, effettuare un buon arricchimento ambientale che preveda molti punti in cui nascondersi, una buona terapia ludica, molte attività collaborative con il proprietario (percorsi ad ostacoli tipo freeform, riporto, piste, nascondino, cerca, ecc) e prevedere una routine quotidiana che comprenda dei rituali creati appositamente per ridurre la tensione emotiva nei momenti in cui è maggiore, spesso soprattutto al ritorno del proprietario a casa. 

Da: Atti del Seminario SIVAE/SISCA “La medicina del comportamento nei nuovi animali da compagnia: semiologia, patologia e terapia” (Cremona, 27-28 febbraio 2010).
Maria Grazia Monzeglio Med Vet PhD
mg.monzeglio@evsrl.it

 

Fonte: SIVAE

Settore: Animali esotici

Discipline: Etologia-Terapia comportamentale

Ultima modifica: 22-03-2010
 
Le patologie del comportamento degli psittacidi
Al Seminario SIVAE/SISCA, sociopatia e problemi di socializzazione, ansia, autodeplumazione e fobie

Sociopatia, ansia, problemi di socializzazione, fobie e autodeplumazione. Sono questi i principali problemi comportamentali degli psittacidi, affrontati da Marzia Possenti (Med Vet, Milano) al Seminario SIVAE in collaborazione con SISCA “La medicina del comportamento nei nuovi animali da compagnia: semiologia, patologia e terapia” (Cremona, 27-28 febbraio 2010).

La sociopatia

Si tratta di un problema molto frequente nella pratica. I comportamenti di aggressione sono quelli classici: aggressioni territoriali, gerarchiche e da irritazione. Solitamente il pappagallo sceglie un elemento del gruppo come partner e tenta di gestirne i rapporti, i contatti e le relazioni con gli altri membri del gruppo e con gli estranei, pretende inoltre di gestire i contatti anche fra i membri del gruppo che non ha scelto come partner, anche se in maniera meno evidente rispetto ad esempio al cane. A mio avviso esistono delle forme di sociopatia “latente”, in cui la gestione dei contatti del partner avviene soltanto durante la stagione riproduttiva, ovvero in primavera-inizio estate. Chi si occupa di pappagalli definisce queste aggressioni “sessuali” o “da calore” ma a mio avviso sono unicamente segno di una non corretta gerarchizzazione dei soggetti aggressivi, dunque si possono inquadrare nell’ambito degli squilibri gerarchici se non proprio classificarli come sociopatie vere e proprie. 
Se si esaminano a fondo questi casi infatti si possono identificare segnali compatibili con questo tipo di patologia durante tutto l’anno. Spesso si tratta di problematiche relative alla gestione del contatto fisico con il pappagallo, che non sfociano se non raramente in veri e propri comportamenti di aggressione per il solo motivo che il proprietario ha imparato a leggere, più o meno coscientemente, i segnali premonitori dell’aggressione vera e propria, e interrompe il contatto prima che essa avvenga. I soggetti presentano una decisa richiesta di contatto fisico con il proprietario, salvo poi interromperla improvvisamente quando lo preferiscono. Non è mai il proprietario a decidere di iniziare o terminare il contatto con il pappagallo. Molto spesso questi soggetti si lasciano toccare soltanto da una persona in famiglia, quella scelta come partner, anche se non mostrano timore per gli altri membri del gruppo famigliare. 
Le aggressioni sul cibo negli psittacidi sono rare, molto più spesso si tratta di aggressioni territoriali, scatenate dall’immissione di mani o altri oggetti nella gabbia del pappagallo per porgergli il cibo, cui il pappagallo risponde difendendo quello che considera il suo territorio. I sociopatici rifiutano costantemente di entrare ed uscire dalla gabbia dietro richiesta dei membri del gruppo famigliare e tipicamente si posizionano su superfici alte, da cui possono dominare il territorio e rendere difficile la cattura da parte dei proprietari. Uno dei sintomi tipici della sociopatia in queste specie è dunque la difficoltà, o molto più spesso l’impossibilità, da parte dei proprietari nel gestire gli spostamenti del pappagallo nell’ambito del territorio: questi soggetti finiscono spesso per considerare l’intera casa proprio territorio, non soltanto la gabbia. In questi casi si presentano più facilmente aggressioni territoriali sia ai membri della famiglia che agli estranei. 
La sequenza tipica dell’aggressione territoriale è molto “teatrale”, con oscillazioni verticali di testa e busto e grida rauche e minacciose, ma purtroppo gli psittacidi hanno una forte tendenza a strumentalizzare i comportamenti, compresi quelli di aggressione, e ben presto dunque questa sequenza si perde ed il pappagallo si limita ad aggredire con becco ed artigli l’intruso scagliandosi in silenzio o al massimo mentre emette un grido rauco. Le aggressioni territoriali in animali che non considerano l’intera casa come proprio territorio sono rare, più spesso questi soggetti si limitano ad intimidirli con grida o ringhi minacciosi ed a rimanere in vista per controllarne i movimenti. Se la sociopatia è l’unica patologia presente pressoché costantemente si hanno aggressioni territoriali, ma nel caso in cui ci sia la compresenza di altre patologie come difetti di socializzazione, paure o fobie il pappagallo trova difficoltà nell’espandere il proprio territorio a tutta la casa. In questo caso questo tipo di aggressione si verifica unicamente se vengono immessi oggetti o le mani di una persona nella gabbia, spesso anche se persone o oggetti si avvicinano alla gabbia. Possono diventare invece molto aggressivi nel caso in cui l’estraneo tocchi il partner da loro prescelto. Purtroppo la presenza di più entità nosografiche è frequente e rende più difficile la diagnosi.
Nella maggior parte dei casi si tratta comunque di problemi legati alla paura (di persone od oggetti) e a problemi di socializzazione, dunque le sequenze di aggressione presentano alcuni elementi tipici dell’aggressione da paura, come l’eliminazione di feci (a volte anche multipla durante un’aggressione territoriale prolungata), grida acute o sbattere di ali. Non sembra ci sia correlazione fra la gravità delle aggressioni territoriali e quanto sia saldo l’alto status sociale del pappagallo, si può notare invece un aumento della gravità e della durata delle aggressioni nel caso in cui ci sia compresenza di paura, fobie, squilibri emozionali (pappagalli allevati a mano) o problemi di socializzazione. 
Le aggressioni da irritazione, come si diceva precedentemente, spesso sono ridotte ai soli segnali premonitori e le aggressioni gerarchiche non sono ancora state messe in correlazione alla saldezza dello status sociale del pappagallo. Ovviamente esistono delle differenze di specie, legate soprattutto al tipo di gruppo sociale formato in natura. I cacatua ad esempio sono particolarmente aggressivi nella gestione dei contatti del partner, sia umano che psittacide, mentre invece i cenerini difendono maggiormente il territorio. 

L’ansia

Molto frequentemente negli psittacidi ad un’entità nosogafica si associa uno stato ansioso, in alcune patologie come i problemi di socializzazione o le fobie è quasi una costante. In alcune specie l’autodeplumazione si accompagna pressoché costantemente con l’ansia, anche se non sono presenti altri elementi dell’ansia permanente come l’inibizione o la riduzione delle attività. Spesso i casi di ansia parossistica sono legati ad episodi di grave autodeplumazione o addirittura autolesionismo improvvisi e di varia durata. Poiché in queste specie mancano i più classici segnali di stress come legamento delle labbra e schiocco della lingua e lo sbadiglio è decisamente più raro e facilmente confondibile con altri segnali, la diagnosi dello stato ansioso si dimostra decisamente più complicata. I segnali di maggior interesse sono dunque l’ipervigilanza, l’irrequietezza (pacing e cambio continuo di peso sugli arti), la variazione particolarmente frequente del diametro pupillare, l’emissione di grida in gruppi di vocalizzazioni costanti per intensità e frequenza. In rari casi si può osservare il paziente ansimare a becco aperto, pur non presentando patologie organiche. E’ importante individuare la presenza di questi segnali sia durante la visita in ambulatorio che indagando a fondo il comportamento del paziente nel suo ambiente domestico: a volte i proprietari negano la presenza di questi sintomi perché non sono stati in grado di leggerli, ma opportunamente istruiti saranno in grado di dare risposte più soddisfacenti ad un secondo incontro.
L’ansia si associa alle fobie in caso di fobie multiple o molto gravi o semplicemente per la persistenza in loco dello stimolo fobogeno. In caso di problemi di socializzazione l’ansia è più grave quanto minore è il grado di socializzazione del paziente, e quanto maggiori sono i suoi contatti con le specie con cui non è correttamente socializzato. Nella sociopatia a mio avviso c’è un relazione fra la sicurezza del paziente del proprio status sociale elevato e la presenza e la gravità dello stato ansioso: pazienti fermamente saldi nel proprio status difficilmente presentano ansia. In caso di compresenza di più entità nosografiche l’ansia è una costante.

I problemi di socializzazione

Si tratta di patologie molto, molto frequenti. Nel caso di soggetti di cattura ci si trova di fronte ad un paziente selvatico, totalmente non socializzato, che richiede un lungo periodo di adattamento per abituarsi alla presenza dell’uomo. In questo caso non si può parlare certo di processo di socializzazione, ma semplicemente di adattamento. In realtà i problemi più gravi si hanno nei soggetti allevati a mano, che presentano una parziale socializzazione con l’uomo dovuta all’impregnazione nei confronti dell’allevatore, ma che spesso è associata ad esperienze negative come l’alimentazione con la sonda, una manipolazione brusca e troppo breve, ecc. Inoltre si tende a considerare un soggetto allevato a mano come “socializzato con l’uomo”: questo è assolutamente falso. Il pappagallo allevato a mano presenta soltanto un’impregnazione iniziale e spesso ad una sola persona, l’allevatore. Il proprietario che adotta un giovane pappagallo, che lo nutre, rappresenta per lui la figura genitoriale (materna o paterna o entrambe a seconda delle abitudini comportamentali della specie) e dunque, grazie all’impregnazione precedente, difficilmente avrà problemi di socializzazione con il pappagallo. Ma se il pappagallo non viene manipolato da più persone, non viene in contatto con una vasta gamma di soggetti umani nel corso del suo sviluppo comportamentale non si potrà considerare correttamente socializzato: i pappagalli difficilmente generalizzano nel processo di socializzazione, dunque necessitano di un’esperienza ampia e varia, sempre positiva, per socializzare con un’altra specie. Nel caso in cui l’esperienza con l’allevatore sia stata negativa si avranno problemi di paure sin dai primi giorni. Un soggetto non socializzato non prenderà mai il cibo dalla mano e svilupperà costantemente una fobia che tenderà a presentarsi facilmente con comportamenti di aggressione per distanziare lo stimolo fobogeno. Spesso alla fobia iniziale si associano ulteriori fobie, derivate dal comportamento di reazione dei proprietari alle aggressioni del pappagallo: paura di oggetti, suoni, ecc utilizzati per “punire” o allontanare il pappagallo che aggredisce. In casi molto gravi di fobie multiple il paziente si rifiuta di uscire dalla gabbia e presenta ansia permanente con evoluzione in depressione.
Non parlerò in questa sede di sindrome da privazione sensoriale, poiché ritengo che la maggior parte dei pappagalli non riceva una corretta stimolazione durante lo sviluppo e dunque che ogni paziente che ci viene presentato debba essere considerato ipostimolato e presenti un certo grado di privazione sensoriale. La discussione sarebbe decisamente troppo lunga e complessa per questa sede.

Le fobie

Sono poco frequenti come singola patologia, più spesso sono associate a problemi più complessi come privazione sensoriale o problemi di socializzazione. Raramente un paziente presenta un’unica fobia, più spesso al momento della visita le fobie sono multiple, spesso le più recenti sono derivate dalle più remote, associabili sia perché presenti nello stesso contesto che perché relative alla reazione del proprietario o del gruppo famigliare nel corso degli episodi fobici. I pappagalli tendono a sviluppare facilmente fobie in seguito ad esperienze di paura e tendono a generalizzare facilmente in questo caso. Lo stato di parziale privazione sensoriale in cui frequentemente si trovano probabilmente facilita questo processo. Nella maggior parte dei casi la reazione è la fuga, il tentativo di nascondersi porta il paziente ad esporsi a rischi piuttosto gravi che di solito esitano in traumi da volo scomposto e disattento.

L’Autodeplumazione

E’ importante precisare che la diagnosi di autodeplumazione di origine psicogena si può effettuare unicamente con un iter complesso, che prevede l’esclusione di tutte la cause organiche che possono presentare come sintomo questo comportamento, ma è altresì importante ribadire che un’analisi completa ed esaustiva del management ambientale, alimentare e famigliare di un paziente aviare, in particolare uno psittacide, non può prescindere dall’aspetto etologico. E’ vero che la maggior parte dei problemi di autodeplumazione riconosce cause organiche, ma bisogna considerare lo stato di malessere e spesso di ansia che accompagna la malattia e che ne può peggiorare il quadro sintomatico e prolungare i tempi di risoluzione, o peggio ancora causare delle ricadute in un soggetto guarito. E’ dunque fondamentale mettere in atto le dovute modifiche ambientali e di gestione per andare incontro alle esigenze etologiche del paziente, in modo da fornirgli tutti i mezzi per una rapida guarigione.
Bisogna considerare che l’autodeplumazione psicogena è un sintomo di una patologia comportamentale più ampia, un segno associato costantemente con uno stato ansioso che può accompagnare le più diverse patologie comportamentali. Una caratteristica fondamentale di questo comportamento è che inizia sempre come un’ipertrofia del comportamento di pulizia: il pappagallo si pulisce le penne e se le liscia per un tempo sempre più lungo e con sempre maggior insistenza, fino a provocarsi delle lesioni delle barbule esterne della penna. Le lesioni progrediscono sempre più verso il calamo, che infine viene strappato via dalla cute. Il processo può evolvere ulteriormente, poiché il soggetto può arrivare a provocarsi delle lesioni cutanee molto serie, che s’infettano facilmente provocando dolore e prurito e dunque dando inizio ad un circolo vizioso, in cui il prurito è determinato anche dalla ricrescita delle penne strappate. Il comportamento di pulizia può iniziare come un rituale oppure come un comportamento di sostituzione. Nel primo caso il pappagallo impara che pulendosi attira l’attenzione del proprietario ed utilizza quindi la pulizia per poter comunicare con lui. Il rituale è un tipo particolare di comunicazione: è rigido, preimpostato, non adattabile e viene considerato patologico. Nel caso degli psittacidi affetti da autodeplumazione spesso sostituisce la comunicazione corretta poiché questa manca o è eccessivamente ridotta. 
Molto spesso il proprietario non è in grado di far fronte alle esigenze comportamentali del pappagallo, in particolare per alcune specie che necessitano di una continua comunicazione con il gruppo come il cenerino, e dunque il pappagallo apprende ad utilizzare un metodo alternativo per comunicare. Il comportamento di sostituzione invece viene messo in atto quando l’animale si trova in uno stato di tensione emotiva: paura, ansia, eccitazione sono alcuni esempi.
Secondo alcune teorie di neurofisiologia alcuni comportamenti provocano il rilascio di endorfine quando vengono messi in atto: il leccamento, il mordicchiamento ed in generale i comportamenti centripeti legati alla sfera del self-grooming (pulizia personale) hanno questo effetto. Un buon metodo per differenziare questi due tipi di patogenesi dello stesso disturbo è chiedere se il paziente lo attua soltanto in presenza del proprietario: in questo caso si tratterà sicuramente di un rituale. In entrambi i casi il comportamento può evolvere in stereotipia, ovvero trasformarsi in un problema decisamente serio. La stereotipia è un comportamento rigido, presentato totalmente fuori contesto, caratterizzato da una forte motivazione endogena. In altre parole un animale che presenta una stereotipia non si fermerà se viene bloccato, chiamato o se si cerca d’interagire con lui, poiché la motivazione a proseguire il comportamento è maggiore di quella d’interagire con il mondo circostante. Questi comportamenti vengono considerati delle complicazioni nello sviluppo di una patologia comportamentale, di solito accompagnano il passaggio da ansia intermittente (meno grave) ad ansia permanente (molto più grave) e sono quindi segno che una patologia comportamentale è presente da molto tempo, anche se negli psittacidi lo sviluppo delle patologie comportamentali è molto più rapido che nei mammiferi. Alcune specie presentano questo comportamento con maggiore frequenza, probabilmente in relazione alla maggiore complessità delle esigenze etologiche e quindi alla difficoltà del proprietario a farvi fronte. Uno studio preliminare sembrerebbe indicare che non ci sono maggiori tendenze a sviluppare autodeplumazione, così come altre patologie comportamentali, in soggetti di cattura rispetto a quelli allevati a mano.
Un buon metodo per valutare se la gestione di un pappagallo è corretta consiste nel porre queste semplici domande: il pappagallo è libero o vive in gabbia? Quanto è grande la gabbia? Se è libero ha accesso a tutta la casa? Com’è fatta la sua gabbia? Ha dei giochi? Quali? Ha qualcuno con cui parlare durante la giornata? Dove si trova la gabbia? Quante ore al giorno dorme? Ha mai aggredito qualcuno? Quanto tempo passa in compagnia dei suoi proprietari/membri del gruppo? Come avvengono le interazioni fra proprietari e paziente?
Le risposte a queste domande ci forniranno un quadro generale della gestione etologica del paziente e del tipo di relazione instaurata con il gruppo famigliare di cui fa parte. Poiché il pappagallo è una specie fortemente sociale, con le dovute differenze fra le singole specie, l’indagine anamnestica va rivolta soprattutto alle interazioni con il gruppo di cui fa parte, poiché molto spesso sono l’elemento chiave sia per la comparsa della patologia che per la sua cura. 
Certo non vanno trascurati altri elementi ambientali come la gabbia, l’arricchimento ambientale, il rispetto dei ritmi circadiani e circannuali, l’alimentazione, ma la modificazione di questi elementi, nel caso non rispettino l’etogramma di specie, è molto più semplice e richiede meno tempo ed impegno di quanto non implichi la variazione dei rapporti sociali fra i membri del gruppo. In effetti è raro che l’autodeplumazione di origine psicogena si riesca a curare unicamente con delle modifiche gestionali. Queste modifiche sono alla base del benessere psicologico ed organico del pappagallo e vanno quindi effettuate prima possibile, ma molto spesso non risolvono il problema perché non sono sufficienti ad eliminare completamente lo stato ansioso cui l’autodeplumazione si accompagna e che, nella stragrande maggioranza dei casi, è causata da problemi di relazione con il gruppo famigliare, con i conspecifici o con “estranei” che frequentano spesso l’ambiente di vita del pappagallo. 
In conclusione la chiave per comprendere la patogenesi e la terapia di questa patologia sta proprio nel non considerarla tale, ma unicamente un sintomo di una forma patologica più complessa che coinvolge molto spesso la relazione con i membri del gruppo, o comunque le esigenze sociali del pappagallo. Dato che i pappagalli tendono a presentare molto precocemente l’autodeplumazione, spesso ancora in associazione ad ansia intermittente da ambiente inadatto, questo tipo di problema può essere risolto con le modifiche, ma se alla visita dovessero evidenziarsi problemi relazionali o stati fobici difficilmente il comportamento si estinguerà solo con queste precauzioni, ed è bene che il terapista ne sia ben conscio e ne informi i proprietari.

Terapia delle patologie del comportamento degli psittacidi

Premessa

Le tecniche terapeutiche, farmacologiche e comportamentali, utilizzate in medicina del comportamento degli animali esotici sono le stesse in uso per cane e gatto, ovvero rispecchiano gli stessi principi e, a volte, sono simili in tutto e per tutto. Nel corso di questa trattazione verranno dunque messe in evidenza le differenze e le peculiarità della terapia in queste nuove specie da compagnia. Per quanto riguarda la terapia farmacologia, in particolare, non esistono quasi studi scientifici in proposito, la maggior parte dei farmaci vengono utilizzati su base aneddotica. E’ importante considerare che la terapia comportamentale ha una durata decisamente maggiore rispetto alla maggior parte degli interventi terapeutici organici (tranne nei casi di malattie croniche) e richiede non soltanto la somministrazione di farmaci ma il cambiamento di alcuni atteggiamenti e comportamenti nei confronti del paziente, da parte dei clienti. La richiesta di cambiamento è in assoluto la più difficile che si possa fare ad una persona, dunque la terapia comportamentale potrebbe non essere messa in atto dal cliente se non otteniamo una completa e duratura alleanza terapeutica. In psicologia si afferma che un terapeuta non è tale se non è in grado di seguire il paziente nel cambiamento, ovvero se il paziente non segue le prescrizioni richieste. 
Colpevolizzare il cliente per la mancata compliance è sempre e comunque errato: nella maggior parte dei casi è il terapeuta che non è riuscito ad ottenere l’alleanza terapeutica. Per fare ciò è di fondamentale importanza apprendere le tecniche di colloquio, i fondamenti della psicologia transazionale e sistemica e le tecniche di counseling. Non è possibile dedicarci in questa sede anche a questi approfondimenti, ma è bene essere coscienti che il raggiungimento dell’alleanza terapeutica nella terapia comportamentale non è banale e richiede delle conoscenze specifiche, senza le quali la terapia risulterà inutile perché il cliente non la seguirà.

Terapia farmacologica

In queste specie ci sono alcune segnalazioni sull’utilizzo di psicofarmaci, ma tutte aneddotiche o di singoli casi clinici. La fluoxetina (1 mg/kg da suddividere in due somministrazioni giornaliere, ma personalmente preferisco la somministrazione unica al mattino) viene utilizzata soprattutto nei casi di autodeplumazione, poiché è legata ad un grave stato ansioso permanente con tendenza alla depressione. Questo farmaco può anche ridurre sensibilmente il comportamento di aggressione ma con una variabilità individuale piuttosto ampia. Anche la clomipramina (1-2 mg/kg da suddividere in 2 somministrazioni giornaliere) è segnalata per l’autodeplumazione, ma io preferisco utilizzarla nei casi di ansia intermittente. La leuprorelina (100 mg/kg ogni 14 giorni) o leuprolide è utile in caso di aggressioni stagionali, ma ancora non conosciamo le conseguenze a lungo termine di questa terapia soppressiva sulla produzione di ormoni sessuali. Il dottor Pageat riporta anche la doxepina (1-3 mg/kg da suddividere in 2 somministrazioni giornaliere) e la selegilina (1 mg/kg al mattino), entrambe per la terapia dell’autodeplumazione. Personalmente non le ho mai utilizzate. 

Terapia comportamentale

La prima prescrizione da effettuare, in ogni caso, è l’insegnamento al proprietario della comunicazione del pappagallo. La maggior parte dei clienti non sa leggere correttamente i segnali che il pappagallo le invia: eliminare le incomprensioni è alla base di una buona relazione. Inoltre la maggior parte delle terapia che prescriviamo richiede che il proprietario sappia comprendere quando il pappagallo fatica a gestire la situazione o sta iniziando ad essere irritato, prima che compaiano crisi di panico o aggressioni vere e proprie. Dunque la lettura dei segnali prodromici è di fondamentale importanza per la buona riuscita di una terapia.
Nessuna terapia in queste specie può prescindere da un adeguato e vario arricchimento ambientale. I giochi devono adattarsi alla taglia ed alle abitudini di ogni singola specie e devono essere introdotti tenendo in considerazione il tipo di patologia del paziente: nel caso di un fobico, ad esempio, l’inserimento dovrà essere molto graduale e sempre accompagnato dal supporto del proprietario per facilitare l’esplorazione. 
Per la sociopatia la terapia è farmacologica nel caso in cui ci siano aggressioni, soprattutto se si tratta di pappagalli di medio-grandi dimensioni e dunque potenzialmente pericolosi. Come terapia comportamentale si effettua soprattutto il controllo dei contatti fra pappagallo e proprietari. Il controllo dell’iniziativa nei contatti fisici è un messaggio molto forte poiché è proprio su questi che il pappagallo pretende di avere maggior “voce in capitolo”. Per far ciò il pappagallo dovrà apprendere il comando “su” o “mano” o “dito”, attraverso il quale il proprietario gli permetterà di iniziare il contatto con lui. E’ molto importante che al pappagallo non sia permesso di salire oltre il gomito delle persona su cui si trova, dunque non sulla spalla o sulla testa, per migliorare il controllo del proprietario sul paziente e per ribadire uno status sociale più basso nel pappagallo. Anche i posatoi in casa non dovrebbero essere più alti della testa del proprietario: il pappagallo dovrebbe trovarsi sempre con la testa più in basso di quella delle persone che compongono la famiglia. 
Alcuni etologi affermano che questo accorgimento è la conseguenza del fatto che i pappagalli di status sociale elevato in natura si posizionano sui rami più alti. A mio avviso questa è una motivazione marginale per il pappagallo domestico, la motivazione maggiore è rappresentata dal fatto che, in posizione elevata, il pappagallo sfugge al controllo degli altri membri umani del gruppo e può controllare meglio la situazione. Quest’ultima indicazione non è facilmente applicabile, soprattutto se in casa ci sono bambini. In questo caso è importante ribadire l’importanza del posizionamento sul braccio e non permettere altri contatti al pappagallo finché non sale nel modo richiesto. Se tenta di salire sulla spalla o sulla testa ci si può spostare o si può mettere una mano davanti al luogo di arrivo pronunciando un secco “no”. Appena il pappagallo sarà atterrato gli si può offrire la mano per salire. Bisogna spiegare al proprietario che anche lo sguardo è importante e dunque che non devono guardare il pappagallo finché non fa la cosa giusta. Molti pappagalli sociopatici imparano a gridare per ottenere il contatto con i proprietari o anche soltanto uno sguardo. Nel caso dei pappagalli bisogna però considerare che in natura gridano per farsi sentire dagli altri e dunque sono abituati a tenere toni alti per comunicare. La comunicazione continua con gli altri membri del gruppo è fondamentale in questa specie, mentre invece in casa il proprietario vorrebbe che non emettessero mai suoni, se non quando loro richiesto. Questo non è possibile, ma si può sicuramente migliorare la comunicazione fra proprietario e pappagallo creando delle semplici sequenze comunicative che non implicano l’uso della voce. 
Si può effettuare il codaggio di un comportamento, di un semplice movimento come il sollevamento della cresta nel cacatua ad esempio, per trasformarlo in un metodo di comunicazione alternativo alla voce. Il codaggio è un metodo di addestramento utilizzato spesso nei parchi zoologici per ottenere un determinato atteggiamento da un animale con un preciso movimento, che fa da segnale d’inizio. Come prima, cosa ogni volta che il pappagallo effettua il comportamento che si vuole “codare”, il proprietario fa un certo movimento, ad esempio ogni volta che il pappagallo alza la cresta il proprietario alza il dito indice, tenendo la mano ben in vista. Subito dopo il proprietario parla con voce soddisfatta al pappagallo, dicendogli bravo e seguitando ancora per qualche secondo con altre parole. Presto il pappagallo apprenderà a sollevare la cresta ogni volta che il proprietario alzerà il dito e sarà sufficiente, per soddisfare la sua esigenza di continuo contatto con il gruppo, che il proprietario si affacci ogni tanto o, mentre passa davanti alla gabbia, alzi un dito e dica qualcosa di gentile al pappagallo appena avrà alzato la cresta. E’ importante anche il controllo dei giochi e la loro “concessione” al paziente soltanto se fa qualcosa in cambio. 
Sono possibili molte attività collaborative con i pappagalli: il nascondino, il cerca (utilizzando oggetti nascosti non troppo lontani), ed i percorsi ad ostacoli. Questa attività migliorano la comunicazione uomo-pappagallo e creano un legame affettivo in cui il paziente si abitua a guardare il proprietario per avere indicazioni su cosa fare.
Per l’ansia, oltre all’arricchimento ambientale, è molto importante l’uso di un farmaco. Bisogna ovviamente individuare la patologia responsabile dello stato ansioso e fare una terapia adeguata.
Per i problemi di socializzazione la terapia richiede la fluoxetina in caso di aggressioni, e una lunga e complessa terapia comportamentale. Poiché il pappagallo è comunque un animale selvatico è difficile, se non si tratta di un soggetto giovane, socializzarlo completamente e con totale successo. La terapia prevede esercizi di presa di contatto, inizialmente con lo sguardo. Il proprietario dovrà guardare il pappagallo chiudendo spesso gli occhi, senza spalancarli e mantenendo un atteggiamento rilassato. Inizialmente si può posizionare la gabbia del pappagallo in un luogo di passaggio ma che non costringa le persone a passare troppo vicino alla gabbia. Permettere ad un pappagallo non socializzato di uscire dalla gabbia da solo è controproducente, poiché al momento di rimetterlo in gabbia lo si dovrà costringere e questo non migliorerà certo la relazione con il proprietario. E’ dunque importante prevedere una gabbia molto grande, con un ottimo arricchimento ambientale e dei punti in cui nascondersi, magari parzialmente coperti da una pianta (non tossica, i pappagalli assaggiano tutto). 
Il proprietario dovrà sempre fornire il cibo al pappagallo personalmente, se ci sono più membri nella famiglia sarebbe meglio che lo facessero tutti a turno poiché il pappagallo non generalizza facilmente e tende a socializzare con la singola persona. Si può iniziare la presa di contatto fisico attraverso la gabbia, offrendo del cibo al pappagallo con una mano e avvicinando un dito dell’altra per accarezzare la fronte quando il paziente rimane vicino a mangiare il cibo e si mostra tranquillo. Una volta preso contatto in questo modo si può passare a chiedere di salire sulla mano aprendo la gabbia. E’ bene che al pappagallo venga permesso di uscire dalla gabbia soltanto quando sale sulla mano del proprietario con facilità e correttamente alla sua richiesta. La prima volta l’uscita deve essere molto breve, soltanto all’interno della stanza dove si trova la gabbia, e non ci devono essere suoni o persone diverse che potrebbero causare fughe. Le uscite dovranno essere gradualmente più lunghe e su di un’area sempre più vasta della casa. Una volta che il pappagallo sarà abituato a girare la casa sulla mano del proprietario gli si potrà permettere di esplorare oggetti offerti dai membri della famiglia e si potranno iniziare le attività collaborative. 
Per le fobie il controcondizionamento può essere efficace, ma bisogna innanzitutto lavovare per rinsaldare il legame con il gruppo famigliare per favorire il superamento della patologia ed accelerare la terapia. L’arricchimento ambientale, soprattutto con giochi intelligenti, è fondamentale, assieme alle attività collaborative con la famiglia. Si può chiedere al pappagallo di restare sulla mano durante la sedute di controcondizionamento. 
Per l’autodeplumazione è fondamentale la terapia farmacologica, soprattutto se il paziente tende alla depressione, per rilanciare i comportamenti. Inoltre l’arricchimento ambientale qui deve essere rivolto soprattutto all’attività alimentare, poiché è dimostrato che i pappagalli tendono ad autodeplumarsi maggiormente se non devono passare molto tempo a procurarsi il cibo. E’ dunque importante rendere il cibo non facilmente raggiungibile. A questo scopo si possono sia acquistare giochi appositi, i cosiddetti giochi intelligenti o rompicapo per pappagalli, sia costruire dei meccanismi fatti in casa. Si può utilizzare l’interno dei rotoli dello scottex e della carta igienica riempiti di cibo e poi appallottolati, mescolare gli estrusi con fieno, pezzi di carta o trucioli, fare dei buchi di diverse dimensioni in una scatola da scarpe e metterci del cibo molto appetito assieme ad altro materiale, fare dei cartocci in cui avvolgere alcuni estrusi o della frutta. E’ importante controllare che i giochi, anche quelli acquistati, non contengano parti zincate o vernice con piombo e che non abbiano parti di plastica o metalliche che il pappagallo potrebbe staccare ed inghiottire. E’ importante anche che il pappagallo dorma almeno 12 ore a notte in un luogo silenzioso e che rimane buio per tutto il tempo, si può anche dedicare a questo scopo una gabbia piccola e pressoché spoglia, posizionata in una stanza tranquilla dove non entra nessuno per tutta la notte, in cui mettere il pappagallo soltanto quando deve dormire. Ovviamente sarà importante individuare la patologia comportamentale che ha indotto lo stato ansioso permanente ed effettuare una terapia in questo senso.

Da: Atti del Seminario SIVAE/SISCA “La medicina del comportamento nei nuovi animali da compagnia: semiologia, patologia e terapia” (Cremona, 27-28 febbraio 2010).
Maria Grazia Monzeglio Med Vet PhD
mg.monzeglio@evsrl.it

 

Fonte: SIVAE

Settore: Animali esotici

Discipline: Etologia-Terapia comportamentale

Ultima modifica: 22-03-2010

Articolo su Cinetosi, fobia post-traumatica da cinetosi, fobia della macchina: come distinguerle ? di Raimondo Colangeli 

Qui di seguito troverete i primi 2 numeri del Animal Pain Journal, gentilmente concesso dalla Pfizer Italia srl.

Nel secondo numero troverete l'introduzione e il primo articolo a cura del Dott. Raimondo Colangeli.

File Allegati:
 1 Animal Pain Journal
  2 Animal Pain Journal
 Cinetosi